di Fabio Giaretta
Dopo aver contribuito in modo decisivo alla riscoperta di Emilio Ghione con “L’ultimo
apache”, il vicentino Denis Lotti, docente di storia del cinema all’Università
di Padova, torna a confrontarsi con questa figura cardine del cinema muto
italiano attraverso il saggio “I Topi Grigi. Il romanzo cinematografico di Za
la Mort” (Mimesis, pagg. 98). In questo nuovo libro Lotti concentra la
sua analisi sul serial in otto puntate, intitolato “I Topi Grigi”, scritto,
diretto e interpretato da Ghione, che debutta in sala il 6 giugno 1918, mentre
l’esercito italiano sta per affrontare la battaglia del Solstizio contro gli
austriaci (15 - 24 giugno 1918). Protagonista è l’apache parigino Za la Mort, eroe
oscuro dalle nobili origini, il quale, persa ogni ricchezza a causa di un
parente disonesto, decide di vivere nei bassifondi parigini, tramutandosi in un
misterioso vendicatore e tutore dell’ordine. Accanto a Za la Mort, che nel gergo sprezzante
della malavita significa “Viva la morte”, troviamo l’amata Za la Vie, interpretata
da Kally Sambucini, a cui Ghione fu legato anche nella vita. Il serial, tra i
più lunghi dell’epoca e appartenente ad un ciclo di trentasei titoli complessivi
dedicati a Za la Mort, prende le mosse da una busta nera posseduta dai Topi Grigi,
una banda di ladri guidati da Grigione, che svelerebbe l’identità di un ragazzo
salvato dall’apache parigino. Il tentativo di recuperare la busta dà il via a
molte peripezie che portano l’eroe a viaggiare nelle più diverse ed esotiche
parti del mondo.
Gli elementi più interessanti di questo ambizioso prodotto,
realizzato con mezzi artigianali per un vasto pubblico, sono la contaminazione di
stili e generi (legati per lo più alla letteratura popolare dell’Ottocento,
soprattutto d’oltralpe), la visione globetrotter piuttosto rara nel nostro
cinema, la forza espressiva della recitazione di Ghione “che colma le lacune
tecniche di una regia che si limita a stabilire il punto di vista”, e l’uso,
seppur ancora embrionale, del cliffhanger, cioè la sospensione e il
collegamento tra le puntante per tenere alta la suspense.
“I Topi Grigi” ha avuto una notevole fortuna critica soprattutto
grazie ad un articolo di Umberto Barbaro che colpito dalla messa in scena, a
suo dire, molto più realistica dei film del tempo, coniò l’etichetta di
Neo-realismo destinata ad essere ripresa, con un valore ben più pregnante, per
identificare un’irripetibile stagione del cinema italiano. A testimoniare la presenza
nell’immaginario di questo serial è anche una poesia di Sanguineti intitolata
FILM/A/TO e dedicata a vari film tra cui I Topi Grigi: “il ladro gentiluomo è
proprio un gentiluomo: è Za-la-Mort: / ma i Topi Grigi sono topi, proprio: e
poi c’è Za-la-Vie:”.
Denis Lotti insegna Studi sull’attore nel cinema presso l’Università degli Studi di Padova e Caratteri del cinema muto presso l’Università degli Studi di Udine. Si occupa di storia del cinema italiano, in particolare del cinema muto. Fra l’altro, ha pubblicato le monografie L’ultimo apache. Emilio Ghione, vita e film di un divo italiano (2008), La documentazione cinematografica (con Paolo Caneppele, 2014), Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano (2016), nonché le curatele Za la Mort (2012) e Quattro anni fra le “Stelle” (2017). È protagonista del documentario Rai Sperduti nel buio (2014).
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