(Pubblico qui una recensione sul libro Il ritorno del dinosauro di Piero Dorfles, che ho scritto in occasione di alcuni incontri che il celebre giornalista e critico letterario ha tenuto a Vicenza oramai diversi mesi fa).
di Fabio Giaretta
«Aiuto, sono
un dinosauro. Appartengo a una specie estinta e non me n’ero accorto. Non
idolatro la tecnologia, guardo poco la televisione, non possiedo nemmeno un
iPod, non ho una pagina su Facebook e non sopporto i luoghi rumorosi. È chiaro,
appartengo a un’epoca preistorica». Si apre con questo ironico autoritratto
l’ultimo libro di Piero Dorfles Il
ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura (Garzanti, 210 pagg., euro
18,60), nel quale il celebre giornalista e critico letterario, noto soprattutto
per la sua partecipazione alla trasmissione televisiva Per un pugno di libri, cerca di capire le cause del declino del
nostro Paese.
Dorfles si autodefinisce un relitto preistorico, ma
questo non significa che egli sia un miope passatista, un reazionario favorevole
ad una rivoluzione conservatrice. Egli
sa bene che bisogna fare i conti con il progresso e che non c’è niente di
peggio di chi guarda indietro invece che avanti. Però è necessario lottare
affinché la modernità non distrugga valori importanti. Ciò che deve essere
assolutamente difeso è la cultura, perché l’emergenza che sta vivendo oggi
l’Italia non è tanto politica, economica e istituzionale, ma culturale.
Secondo
Dorfles questa emergenza culturale si sta aggravando a causa della nostra
indifferenza e del nostro conformismo. Di giorno in giorno diventiamo più
insensibili ai veleni che ci circondano e questo fa sì che la soglia
dell’irritazione, dello scandalo, della ribellione al prevalere del cattivo
gusto arretri sempre di più.
I segni di
questo declino culturale sono sotto gli occhi di tutti. Si vedono nello
scadimento della televisione, che ubbidisce stancamente alle regole che si è
data da sola, e che non vende più programmi agli spettatori, ma telespettatori
agli investitori pubblicitari. Si scorgono in un sistema di informazione che
privilegia notizie ovvie e che fa leva su una comunicazione emotiva, che
sollecita la nostra parte sentimentale, ma che ci fa perdere la capacità di
presa razionale sulla realtà. Appaiono macroscopici nella nostra classe
dirigente, o meglio digerente, che anziché dirigere il Paese, se l’è spartito e
mangiato. Una classe priva dell’immaginazione e della progettualità necessarie
per rendere l’Italia un paese davvero competitivo e aperto al futuro. Tuttavia
secondo Dorfles, che si tiene ben lontano da facili derive qualunquiste, la
società civile non è meglio dei suoi governanti perché l’illegalità e le
pratiche disinvolte sono diffuse e accettate a livello di massa.
Anche la
scuola è stata svuotata della sua capacità formativa soprattutto a causa
dell’eclissi del principio di merito, della dignità del sapere e del ricorso a
tutte le scorciatoie possibili per garantirsi il successo. «È venuta meno la
convinzione della collettività che il momento educativo sia il presupposto per
dare ai giovani non solo solide basi culturali, ma anche coscienza di sé». Però
se è vero che la conoscenza non produce automaticamente ricchezza, l’ignoranza
produce automaticamente povertà; le statistiche, che ci danno ai primi posti
come consumo di ore tv e come possesso di telefonini, ma in coda come capacità
di lettura e per quantità di libri letti, non sono in tal senso incoraggianti.
E se si continuerà a investire poco e male nella ricerca e nella cultura, il
nostro Paese è destinato a giocare un ruolo sempre più subalterno e marginale
perché “senza sfida della conoscenza, senza la maturità del sapere, senza
approfondimento si annega”.
Eppure
Dorfles non si piega mai ad un rassegnato pessimismo, ben consapevole che “senza
ribellione c’è accettazione e che se non ci si riscuote, si soccombe”. Non sarà
però una legge a cambiare i valori né una nuova tornata elettorale a fermare la
deriva. Quello che serve è un processo di revisione e di rigenerazione della
cultura collettiva, una nuova spinta ideale che non miri solo al progresso
economico e tecnologico ma anche ad un reale progresso della coscienza e della
conoscenza.
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