"Breviario di novembre" (Raffaelli Editore, 56 pp., 12 euro) della vicentina Alessandra Conte è un’opera prima che spicca per compiutezza e per forza espressiva. Non a caso questa interessante raccolta poetica si è aggiudicata il Premio Guido Gozzano 2009.
Il breviario, nella liturgia cattolica, è un libro contenente l’ufficio divino che gli ecclesiastici devono recitare in vari momenti del giorno. Anche le poesie della Conte possono essere considerate delle preghiere, ma di carattere molto particolare. Esse, come scrive Stefano Guglielmin nella prefazione, sono insieme “invocazione pietosa e delirio blasfemo, canto sacro e bestemmia”. I toni possono oscillare da una rassicurante e avvolgente dolcezza materna fino ad arrivare ad un vigoroso e violento furore distruttivo. Il periodo in cui viene situato il breviario, novembre, il mese dei morti, dà ai testi della raccolta una nota funebre, sopra la quale si innalza la voce orante che ci appare all’inizio della prima poesia: “La suora bambola chiama / nel suo letto di noce che sale / con le pareti che si perdono / ancora più in alto, dove i rondoni / gridano e circondano di voli / i morti, fatti di scritture / e guano seccato”. Colei che intonerà le preghiere del libro è una religiosa, una suora, una creatura vivente, ma nello stesso tempo è anche una bambola, porta quindi in sé una dimensione plastificata e inanimata. È insomma una figura che sta al confine tra vita e morte.
In questa duplicità riscontrabile in suora/bambola è presente tutto il nucleo del libro che vuole ridare vita e complessità a divinità oramai troppo imbalsamate e irrigidite. La Conte mira a scardinare l’idea stessa di religione, intesa troppo spesso come asfittico armamentario di precetti e di dogmi, che svuotano il rapporto con il sacro, esaltando il senso di colpa, la paura, la diffidenza per ciò che è terrestre e corporeo. Cielo e terra devono ricongiungersi. Suora bambola prova così a costruire una nuova teogonia, che rifiuta una visione maschile e autoritaria di Dio e che attraverso l’impetuosa e rigenerante forza dell’elemento femminino cerca di superare qualsiasi alfabeto, qualsiasi categoria di modo, di genere, di tempo e di spazio, qualsiasi irrigidimento. Emblematici a tal proposito i seguenti versi: “Proteggi le mie strade / dal procedere dritto. / Donami linee armoniche / e allevia le nostre vite / dalla tentazione all’angolo retto”.
La potenza del femminino, oltre a mostrarsi nella voce recitante, si rivela soprattutto nell’immagine della Madonna che viene scaraventata giù dal piedistallo degli stereotipi. Essa ridiventa così una donna, caratterizzata non solo da una nivea ed irraggiungibile purezza, ma anche da una vischiosa dimensione terrestre che si manifesta soprattutto attraverso immagini che richiamano il rosso del sangue.
Anche Dio subisce la stessa sorte. La situazione tra divinità e fedele non è più data una volta per tutte. Dio può addirittura diventare un’entità fragile, vulnerabile, bisognosa di cure, di cui vanno rifondate le caratteristiche: “Il dio del coraggio è morto / rotolando nella scarpata. Al fondo, / è rinato senza memorie, ma / con le dita rotte la faccia livida. / o dio, tu non sai che ti è successo. / Muori davvero, dormi. / Muori che ti veglio; dormi che sorveglio”. Rotolando dalla scarpata dei luoghi comuni, Dio può ritornare a popolare ogni luogo, restando intimamente vicino all’uomo anche nei momenti più banalmente quotidiani: “Ora e talvolta tu che regni i tuoi regni soffiaci / un poco in fronte, tu che regni i tuoi regni / preparaci la cena”.
Il breviario, nella liturgia cattolica, è un libro contenente l’ufficio divino che gli ecclesiastici devono recitare in vari momenti del giorno. Anche le poesie della Conte possono essere considerate delle preghiere, ma di carattere molto particolare. Esse, come scrive Stefano Guglielmin nella prefazione, sono insieme “invocazione pietosa e delirio blasfemo, canto sacro e bestemmia”. I toni possono oscillare da una rassicurante e avvolgente dolcezza materna fino ad arrivare ad un vigoroso e violento furore distruttivo. Il periodo in cui viene situato il breviario, novembre, il mese dei morti, dà ai testi della raccolta una nota funebre, sopra la quale si innalza la voce orante che ci appare all’inizio della prima poesia: “La suora bambola chiama / nel suo letto di noce che sale / con le pareti che si perdono / ancora più in alto, dove i rondoni / gridano e circondano di voli / i morti, fatti di scritture / e guano seccato”. Colei che intonerà le preghiere del libro è una religiosa, una suora, una creatura vivente, ma nello stesso tempo è anche una bambola, porta quindi in sé una dimensione plastificata e inanimata. È insomma una figura che sta al confine tra vita e morte.
In questa duplicità riscontrabile in suora/bambola è presente tutto il nucleo del libro che vuole ridare vita e complessità a divinità oramai troppo imbalsamate e irrigidite. La Conte mira a scardinare l’idea stessa di religione, intesa troppo spesso come asfittico armamentario di precetti e di dogmi, che svuotano il rapporto con il sacro, esaltando il senso di colpa, la paura, la diffidenza per ciò che è terrestre e corporeo. Cielo e terra devono ricongiungersi. Suora bambola prova così a costruire una nuova teogonia, che rifiuta una visione maschile e autoritaria di Dio e che attraverso l’impetuosa e rigenerante forza dell’elemento femminino cerca di superare qualsiasi alfabeto, qualsiasi categoria di modo, di genere, di tempo e di spazio, qualsiasi irrigidimento. Emblematici a tal proposito i seguenti versi: “Proteggi le mie strade / dal procedere dritto. / Donami linee armoniche / e allevia le nostre vite / dalla tentazione all’angolo retto”.
La potenza del femminino, oltre a mostrarsi nella voce recitante, si rivela soprattutto nell’immagine della Madonna che viene scaraventata giù dal piedistallo degli stereotipi. Essa ridiventa così una donna, caratterizzata non solo da una nivea ed irraggiungibile purezza, ma anche da una vischiosa dimensione terrestre che si manifesta soprattutto attraverso immagini che richiamano il rosso del sangue.
Anche Dio subisce la stessa sorte. La situazione tra divinità e fedele non è più data una volta per tutte. Dio può addirittura diventare un’entità fragile, vulnerabile, bisognosa di cure, di cui vanno rifondate le caratteristiche: “Il dio del coraggio è morto / rotolando nella scarpata. Al fondo, / è rinato senza memorie, ma / con le dita rotte la faccia livida. / o dio, tu non sai che ti è successo. / Muori davvero, dormi. / Muori che ti veglio; dormi che sorveglio”. Rotolando dalla scarpata dei luoghi comuni, Dio può ritornare a popolare ogni luogo, restando intimamente vicino all’uomo anche nei momenti più banalmente quotidiani: “Ora e talvolta tu che regni i tuoi regni soffiaci / un poco in fronte, tu che regni i tuoi regni / preparaci la cena”.
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