(Pubblico in forma più ampia e leggermente modificata questa intervista a Douglas Dunn, uscita ne Il giornale di Vicenza il 5 maggio del 2009)
di Fabio Giaretta
Da quarant’anni Douglas Dunn, uno dei più importanti poeti inglesi contemporanei, cerca di catturare con i suoi versi la musica di ciò che accade. Quello che subito colpisce nelle sue poesie è la totale apertura dialogante nei confronti del reale e delle sue caleidoscopiche manifestazioni. Nonostante il suo valore, questo poeta è però ancora poco noto in Italia. Lo dimostra il fatto che l’unico libro che possiamo leggere in italiano, curato e tradotto da Marco Fazzini, è la preziosa raccolta di testi scelti Long Ago (Lugo: Edizioni del Bradipo, 2003).
Abbiamo intervistato Douglas Dunn con la preziosa collaborazione di Marco Fazzini che ringraziamo.
Quando si è reso conto di poter diventare uno scrittore?
Ho sempre voluto essere uno scrittore ma mi sono reso conto di poterlo diventare qualche anno dopo la pubblicazione del mio primo libro Terry Street, avvenuta nel 1969. Dalla fine degli anni Sessanta ho poi vissuto di scrittura per circa vent’anni facendo il collaboratore di riviste, il recensore, scrivendo racconti…
Lei è nato e vive in Scozia. Quali sono i tratti più propriamente scozzesi che caratterizzano la sua poesia?
Non mi sento molto caratteristico come scrittore scozzese. Aspiro ad essere eclettico.
Le sue poesie hanno sempre una fortissima carica realistica ma viene lasciato largo margine anche all’immaginazione. Quale rapporto si crea tra queste due dimensioni?
Molte volte i dettagli del quotidiano fanno scattare l’immaginazione ma anche la dimensione spirituale della vita e della scrittura. Quindi questi due elementi sono molto connessi tra loro.
Ci sono dei tratti comuni che caratterizzano tutte le raccolte che ha scritto finora?
La volontà di trarre poesia da ciò che accade, di cogliere la musica di ciò che accade.
Lei ha sempre considerato il poeta Philip Larkin il suo mentore. Può dirci in che modo ha influenzato la sua vita e la sua poesia?
Ha avuto un influsso indubbiamente grande. E’ stato un amico che con me si è comportato con grande dignità. Ha avuto una grossa influenza non solo su di me ma anche su tutto il panorama britannico, pur vivendo, come me, ai margini del mondo letterario. Una cosa che ammiravo molto in lui era il senso dell’umorismo. Ho ripreso questa caratteristica in molte mie raccolte, anche se purtroppo è la prima cosa che si perde nella traduzione.
Quali autori l’hanno maggiormente influenzata? Ci sono dei poeti italiani tra i suoi modelli letterari?
Shakespeare senz’altro. Alcuni autori medievali scozzesi. Quando ero studente sono stato molto influenzato da Andrew Marvell, John Milton, Robert Burns. Ho letto e riletto Auden, la mia copia delle sue poesie scelte è distrutta da quanto l’ho sfogliata negli anni.
Tra gli italiani ammiro molto Leopardi che ho anche tradotto.
In che modo è entrato in contatto con la poesia di Leopardi?
E’ stata una coincidenza. Quando Cossiga era presidente della repubblica, doveva visitare la Scozia perché l’università di Edimburgo gli aveva conferito una laurea honoris causa. E’ nata così l’idea di far tradurre Leopardi, che era il poeta preferito di Cossiga, a vari poeti scozzesi. Così sono stato contattato per alcuni testi. Da qui ho iniziato a interessarmi della poetica di Leopardi che mi è piaciuta particolarmente. Però c’è stata una crisi proprio nei giorni in cui Cossiga doveva venire in Scozia quindi per ironia della sorte non è venuto a prendere né la laurea né il volume con le poesie di Leopardi.
In Elegies, raccolta poetica del 1985 incentrata sulla malattia e sulla morte della sua prima moglie, Lesley Balfour, la reticenza presente nei suoi libri precedenti ha lasciato posto ad un maggior denudamento, il suo io non appare più celato…
Se sei un poeta devi avere il coraggio dell’onestà nei confronti di ciò che ti è accaduto, altrimenti resta in te qualcosa di represso. Se non lo fai uscire, cessi di essere un vero poeta.
Il libro oggi in Gran Bretagna è considerato un classico. Come ha vissuto il grande successo di questa silloge?
Non mi sono interessato molto al successo di questa raccolta. Per me non ha fatto la differenza. Conosco dottori che usano il libro con fini terapeutici e lo danno ai loro pazienti. Ricevo ancora, dopo tanti anni, lettere da vari lettori che mi ringraziano per averlo scritto. Per me è stato un modo per ricordare l’amore che ho vissuto. Quando ho saputo che anche i genitori di mia moglie hanno approvato quest’opera ho capito di aver fatto la cosa giusta.
Terry Street, strada proletaria di un quartiere di Hull dove lei visse per un certo periodo, è la protagonista assoluta della sua prima raccolta poetica. Visto che oggi è stata smantellata, si può dire che, in qualche modo, la sua poesia l’ha salvata?
In verità Terry Street stava cadendo a pezzi quindi se ne è andata per vecchiaia. Era comunque un luogo degradato e poco piacevole. Quindi direi che il mio libro più che salvare Terry Street semmai le ha dato una spinta in più affinché se ne andasse.
Le persone che abitavano a Terry Street non furono contente delle mie poesie. Io tra l’altro non ero del posto, ero uno scozzese trapiantato in Inghilterra, precisamente a Hull, quindi sono sempre stato considerato un estraneo. Ricordo che su un giornale uscì un articolo dal titolo molto ironico: la fama è arrivata finalmente a Terry Street, che piaccia o no.
Come mai nelle sue opere, si è via via accentuato il rigore metrico?
Amo la versificazione e, soprattutto negli ultimi vent’anni durante i quali sono stato professore all’università, ho adorato il fatto di avere tempo libero per dedicarmi ad essa. Le poesie, oltre che mirare ai contenuti, devono avere anche uno spessore legato alla versificazione.
Quale funzione ha per lei la poesia nella nostra società contemporanea?
Per prima cosa dovrebbe aiutare la lingua a combattere l’imprecisione e il depauperamento che sempre più la caratterizzano. Qualcuno pensa che la poesia possa essere un sostituto della religione. Io non credo che sia un sostituto, ma ha la stessa funzione della religione perché si occupa della verità. Come la religione potrebbe rendere la vita più significativa. Queste idee non aiutano certo a scrivere delle belle poesie, ma dovrebbero accompagnare ogni vero poeta.
In Italia per quanto riguarda la poesia si assiste ad una situazione paradossale: moltissimi scrivono poesia, ma pochissimi la leggono. È così anche in Gran Bretagna?
Probabilmente succede lo stesso anche in Gran Bretagna. Io sono giudice di un premio di poesia e mi sono arrivati circa 1500 testi da esaminare… Ed è un premio minore. Ci sono decine di migliaia di persone che si laureano ma poche comprano libri di poesia. Forse bisognerebbe chiedersi se c’è qualcosa di sbagliato nella poesia piuttosto che in coloro che non comprano i libri. Adrian Mitchell, un poeta inglese morto recentemente, diceva che la maggior parte della gente ignora i poeti perché la maggior parte dei poeti ignora la gente.
Abbiamo intervistato Douglas Dunn con la preziosa collaborazione di Marco Fazzini che ringraziamo.
Quando si è reso conto di poter diventare uno scrittore?
Ho sempre voluto essere uno scrittore ma mi sono reso conto di poterlo diventare qualche anno dopo la pubblicazione del mio primo libro Terry Street, avvenuta nel 1969. Dalla fine degli anni Sessanta ho poi vissuto di scrittura per circa vent’anni facendo il collaboratore di riviste, il recensore, scrivendo racconti…
Lei è nato e vive in Scozia. Quali sono i tratti più propriamente scozzesi che caratterizzano la sua poesia?
Non mi sento molto caratteristico come scrittore scozzese. Aspiro ad essere eclettico.
Le sue poesie hanno sempre una fortissima carica realistica ma viene lasciato largo margine anche all’immaginazione. Quale rapporto si crea tra queste due dimensioni?
Molte volte i dettagli del quotidiano fanno scattare l’immaginazione ma anche la dimensione spirituale della vita e della scrittura. Quindi questi due elementi sono molto connessi tra loro.
Ci sono dei tratti comuni che caratterizzano tutte le raccolte che ha scritto finora?
La volontà di trarre poesia da ciò che accade, di cogliere la musica di ciò che accade.
Lei ha sempre considerato il poeta Philip Larkin il suo mentore. Può dirci in che modo ha influenzato la sua vita e la sua poesia?
Ha avuto un influsso indubbiamente grande. E’ stato un amico che con me si è comportato con grande dignità. Ha avuto una grossa influenza non solo su di me ma anche su tutto il panorama britannico, pur vivendo, come me, ai margini del mondo letterario. Una cosa che ammiravo molto in lui era il senso dell’umorismo. Ho ripreso questa caratteristica in molte mie raccolte, anche se purtroppo è la prima cosa che si perde nella traduzione.
Quali autori l’hanno maggiormente influenzata? Ci sono dei poeti italiani tra i suoi modelli letterari?
Shakespeare senz’altro. Alcuni autori medievali scozzesi. Quando ero studente sono stato molto influenzato da Andrew Marvell, John Milton, Robert Burns. Ho letto e riletto Auden, la mia copia delle sue poesie scelte è distrutta da quanto l’ho sfogliata negli anni.
Tra gli italiani ammiro molto Leopardi che ho anche tradotto.
In che modo è entrato in contatto con la poesia di Leopardi?
E’ stata una coincidenza. Quando Cossiga era presidente della repubblica, doveva visitare la Scozia perché l’università di Edimburgo gli aveva conferito una laurea honoris causa. E’ nata così l’idea di far tradurre Leopardi, che era il poeta preferito di Cossiga, a vari poeti scozzesi. Così sono stato contattato per alcuni testi. Da qui ho iniziato a interessarmi della poetica di Leopardi che mi è piaciuta particolarmente. Però c’è stata una crisi proprio nei giorni in cui Cossiga doveva venire in Scozia quindi per ironia della sorte non è venuto a prendere né la laurea né il volume con le poesie di Leopardi.
In Elegies, raccolta poetica del 1985 incentrata sulla malattia e sulla morte della sua prima moglie, Lesley Balfour, la reticenza presente nei suoi libri precedenti ha lasciato posto ad un maggior denudamento, il suo io non appare più celato…
Se sei un poeta devi avere il coraggio dell’onestà nei confronti di ciò che ti è accaduto, altrimenti resta in te qualcosa di represso. Se non lo fai uscire, cessi di essere un vero poeta.
Il libro oggi in Gran Bretagna è considerato un classico. Come ha vissuto il grande successo di questa silloge?
Non mi sono interessato molto al successo di questa raccolta. Per me non ha fatto la differenza. Conosco dottori che usano il libro con fini terapeutici e lo danno ai loro pazienti. Ricevo ancora, dopo tanti anni, lettere da vari lettori che mi ringraziano per averlo scritto. Per me è stato un modo per ricordare l’amore che ho vissuto. Quando ho saputo che anche i genitori di mia moglie hanno approvato quest’opera ho capito di aver fatto la cosa giusta.
Terry Street, strada proletaria di un quartiere di Hull dove lei visse per un certo periodo, è la protagonista assoluta della sua prima raccolta poetica. Visto che oggi è stata smantellata, si può dire che, in qualche modo, la sua poesia l’ha salvata?
In verità Terry Street stava cadendo a pezzi quindi se ne è andata per vecchiaia. Era comunque un luogo degradato e poco piacevole. Quindi direi che il mio libro più che salvare Terry Street semmai le ha dato una spinta in più affinché se ne andasse.
Le persone che abitavano a Terry Street non furono contente delle mie poesie. Io tra l’altro non ero del posto, ero uno scozzese trapiantato in Inghilterra, precisamente a Hull, quindi sono sempre stato considerato un estraneo. Ricordo che su un giornale uscì un articolo dal titolo molto ironico: la fama è arrivata finalmente a Terry Street, che piaccia o no.
Come mai nelle sue opere, si è via via accentuato il rigore metrico?
Amo la versificazione e, soprattutto negli ultimi vent’anni durante i quali sono stato professore all’università, ho adorato il fatto di avere tempo libero per dedicarmi ad essa. Le poesie, oltre che mirare ai contenuti, devono avere anche uno spessore legato alla versificazione.
Quale funzione ha per lei la poesia nella nostra società contemporanea?
Per prima cosa dovrebbe aiutare la lingua a combattere l’imprecisione e il depauperamento che sempre più la caratterizzano. Qualcuno pensa che la poesia possa essere un sostituto della religione. Io non credo che sia un sostituto, ma ha la stessa funzione della religione perché si occupa della verità. Come la religione potrebbe rendere la vita più significativa. Queste idee non aiutano certo a scrivere delle belle poesie, ma dovrebbero accompagnare ogni vero poeta.
In Italia per quanto riguarda la poesia si assiste ad una situazione paradossale: moltissimi scrivono poesia, ma pochissimi la leggono. È così anche in Gran Bretagna?
Probabilmente succede lo stesso anche in Gran Bretagna. Io sono giudice di un premio di poesia e mi sono arrivati circa 1500 testi da esaminare… Ed è un premio minore. Ci sono decine di migliaia di persone che si laureano ma poche comprano libri di poesia. Forse bisognerebbe chiedersi se c’è qualcosa di sbagliato nella poesia piuttosto che in coloro che non comprano i libri. Adrian Mitchell, un poeta inglese morto recentemente, diceva che la maggior parte della gente ignora i poeti perché la maggior parte dei poeti ignora la gente.
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BIOGRAFIA: Douglas dunn, poeta, narratore e saggista scozzese, è nato nel 1942 ad Inchinnan, nel Renfrewshire. Ha conseguito la laurea in letteratura inglese all'Università di Hull, dove ha insegnato. È stato docente d'inglese alla St. Andrews University, divenendo direttore dello Scottish Studies Institute. Membro della Royal Society of Literature, nel 2003 è stato nominato Officer of the Order of the British Empire. La sua vasta produzione in versi, che lo consacra come uno degli autori più importanti della poesia inglese contemporanea, ha inizio con la silloge Terry Street (1969), premiata con lo Scottish Arts Council Book Award e con il Somerset Maugham Award. Seguono The happier life (1972) e Love or Nothing (1974), con cui l'autore riceve lo Scottish Arts Council Book Award e il Geoffrey Faber Memorial Prize. Escono successivamente le raccolte Barbarians (1979) e St Kilda's Parliament (1981), che vince lo Hawthornden Prize. È del 1982 il poema Europa's lover. La silloge intitolata Elegies, edita nel 1985, è uno dei suoi capolavori, per la quale gli sono conferiti il Whitbread Book of the Year, il Geoffrey Faber Memorial Prize, lo Hawthornden Prize e il Cholmondeley Award. Successivamente vengono pubblicati i volumi di poesie Northlight (1988) e Dante's drum-kit (1993). Nel 2000 escono le raccolte poetiche The Donkey's Ears e The Year's Afternoon. Marco Fazzini ha curato e tradotto in italiano una selezione di testi dell'autore nel florilegio Long ago e altre poesie scelte 1969-2000 (Edizioni del Bradipo, Lugo di Romagna 2003).dunn si è dedicato anche alla narrativa, componendo due libri di racconti: Secret Villages (1985) e Girlfriends and Boyfriends (1995). È autore di saggi (Under the influence: douglas dunn on Philip Larkin, 1987), curatore di numerose antologie e traduttore dal francese (Andromaque di Racine, 1990). Collabora con vari giornali come il “Glasgow Herald", il “New Yorker" e il “Times Literary Supplement" e ha scritto commedie destinate alla radio e alla televisione.
1 commento:
un grande poeta che ho conosciuto nella Settimana Internazionale dellapoesia a Caracas nell'anoo 1998 insieme al oeta italiano Roberto Mussapi.
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