tag:blogger.com,1999:blog-232992222024-03-19T03:58:10.256+01:00ETERNO SPLENDOREL'arte, quando è davvero tale, ha il potere di far risorgere il mondoFabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.comBlogger35125tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-2937957639962785992020-10-20T22:26:00.011+02:002020-10-23T17:41:05.971+02:00MIGRAZIONI<p><br /></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhX4XYox-x1kJIIMV4do4wtL5S96RDm2wdLcUZCkakrOMDy0SVhDbnzK-00iF-kMTSIQtvYBYIhOwSs-KZn-CMQNm2BM1j32nrb0vzyge5i5MR2qT1ELfC75B1HmN7-P8I7YHfGBg/s800/migrazione.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhX4XYox-x1kJIIMV4do4wtL5S96RDm2wdLcUZCkakrOMDy0SVhDbnzK-00iF-kMTSIQtvYBYIhOwSs-KZn-CMQNm2BM1j32nrb0vzyge5i5MR2qT1ELfC75B1HmN7-P8I7YHfGBg/s320/migrazione.jpg" width="320" /></a></div><br />Il blog eternosplendore è migrato al seguente link:<p></p><p><a href="http://www.eternosplendore.altervista.org">www.eternosplendore.altervista.org</a></p><p>Grazie a chi mi ha seguito finora e continuerà a farlo</p>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-21677610302759662002019-09-17T19:33:00.000+02:002019-09-17T21:30:20.511+02:00Intervista ad Andrea Tarabbia su "Madrigale senza suono" (Vincitore Premio Campiello 2019)<br />
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Una versione molto
ridotta di questa intervista è uscita su “Il Giornale di Vicenza” del 31 agosto
2019. Ho avuto la fortuna di intervistare Andrea Tarabbia in occasione del tour
per il Premio Campiello. Premio che è stato vinto dal suo notevole e
sorprendente “Madrigale senza suono”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Di Fabio Giaretta<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://www.metropolitano.it/wp-content/uploads/2019/09/Andrea-Tarabbia.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="213" src="https://www.metropolitano.it/wp-content/uploads/2019/09/Andrea-Tarabbia.png" width="320" /></a><span style="mso-fareast-language: IT;">“Il demone a Beslan”,
“Il giardino delle mosche” e “Madrigale senza suono” mostrano come Andrea
Tarabbia parta sempre dalla realtà, da qualcosa di davvero accaduto,
aggiungendovi “il fittizio per poterla raccontare”. Attraverso la letteratura
lo scrittore vuole riempire “le parti cave e oscure del reale”. Ciò che gli
interessa però non è la realtà storica in senso stretto, ma quella umana.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">“Il demone a Beslan”
(Mondadori, 2011) si basa su un tremendo fatto di cronaca, avvenuto in Ossezia
nel 2004, quando un gruppo di separatisti ceceni occupò una scuola per tre giorni. L’occupazione si risolse nella strage di 334 persone,
tra cui molti bambini, a seguito dell’irruzione della polizia. Tarabbia sceglie
di far raccontare questa storia a Marat Bazarev, unico membro del commando
ceceno sopravvissuto, che scrive una sorta di confessione mentre si trova in un
carcere di massima sicurezza a Mosca. Si tratta di un personaggio inventato, ma
verosimile, perché effettivamente uno degli attentatori,</span><span style="background: white; color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 10.5pt;"> </span><span style="color: windowtext; mso-fareast-language: IT; text-decoration: none; text-underline: none;">Nurpaša
Kulaev</span><span style="mso-fareast-language: IT;">, sopravvisse e fu
condannato all’ergastolo. Ma questa voce, durante la narrazione, è perturbata
da altre voci, quella di Petja, un bambino morto nella scuola, e quella di
Ivan, un vecchio deforme che vede dall’esterno dell’edificio quello che sta
succedendo. Entrambi altro non sono che fantasmi della mente di Marat. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Nel successivo “Il
giardino delle mosche” (Ponte alle Grazie, 2015), finalista al Premio
Campiello, Tarabbia fa ancora i conti con una storia vera e con due temi
presenti in tutte le sue opere, il male e la morte. Qui si misura ancora con una
vicenda che ha a che fare con la Russia, ovvero quella di Andrej </span><span style="mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin; mso-fareast-language: IT;">Č</span><span style="mso-fareast-language: IT;">ikatilo, il mostro di Rostov,
che uccise almeno 56 persone infliggendo loro indicibili mutilazioni. E decide
di dargli la voce e di fargli raccontare la sua terribile storia così come
aveva fatto Marat ne “Il demone a Beslan”. A questa voce monologante se ne
aggiungono però altre come quella fantasmatica del fratello Stepan Romanovi</span><span style="mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin; mso-fareast-language: IT;">č,</span><span style="mso-fareast-language: IT;"> morto in circostanze
tragiche e oscure quand’era ancora piccolo, o quella dell’ispettore, il dottor
Kostoev, che raccoglie la testimonianza di </span><span style="mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin; mso-fareast-language: IT;">Č</span><span style="mso-fareast-language: IT;">ikatilo. Ancora una volta, insomma, un flusso
di voci e di punti di vista. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://www.bollatiboringhieri.it/wp-content/uploads/2019/09/andrea-tarabbia-madrigale-senza-suono-9788833931326-2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="526" height="320" src="https://www.bollatiboringhieri.it/wp-content/uploads/2019/09/andrea-tarabbia-madrigale-senza-suono-9788833931326-2.jpg" width="209" /></a><span style="mso-fareast-language: IT;">Arriviamo così a
“Madrigale senza suono” (Bollati Boringhieri, 2019), vincitore dell'ultima edizione del Premio
Campiello, in cui la dimensione polifonica de “Il demone a Beslan” e “Il
giardino delle mosche” viene portata alle estreme conseguenze. Il protagonista
principale è il geniale e innovativo compositore di madrigali Carlo Gesualdo,
nato a Venosa nel 1566 e morto a Gesualdo nel 1613. Se oggi la sua figura è
ampiamente conosciuta lo dobbiamo alla riscoperta novecentesca da parte di un
altro grande compositore, Igor Stravinskij, che gli dedicò il “Monumentum pro
Gesualdo di Venosa ad CD annum, tre madrigali ricomposti per strumenti”.
Partendo da questi elementi, Andrea Tarabbia immagina che Stravinskij abbia
ritrovato un misterioso resoconto sulla vita di Gesualdo scritto da un suo
fedele servitore, il nano deforme Gioachino Ardytti. Così alla voce di
Gioachino, che narra una biografia intima e privata del principe, si aggiungono
quella di Stravinskij, che via via commenta quello che sta leggendo, quella di
Glenn Watkins, grandissimo studioso americano di Gesualdo che nel finale del
libro dà la sua interpretazione del manoscritto ritrovato, quella di Gesualdo
stesso e di un coro di personaggi secondari che attraversano la narrazione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Ed è su questo
notevole romanzo, dai toni cupi e gotici, al quale però non mancano momenti comici
e buffi, e che gioca in modo molto intelligente e raffinato con la storia e la tradizione letteraria, che si concentra la seguente intervista ad Andrea Tarabbia. Come
ci ha raccontato in una delle risposte più articolate, accanto ai tre libri che
abbiamo citato, vanno posti anche due importanti saggi come “La buona morte”
(Manni, 2014) e “Il peso del legno” (NNeditore, 2018). Il primo è un reportage sull’eutanasia in Italia intervallato da squarci
biografici che si soffermano sulla malattia del nonno, esperienza per lui
determinante sia come uomo, sia come scrittore. Ne “Il peso del legno” invece
Tarabbia si interroga, cercandone il senso profondo, sul racconto della
crocifissione di Cristo contenuto nei quattro Vangeli e sui personaggi che lo
attraversano. Un libro questo fondamentale per capire “Madrigale senza suono”
con il quale condivide un’ampia parte di bibliografia nonché molti temi come il
rapporto padri-figli, la colpa, il dolore, la morte. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Che effetto le ha fatto vincere il Premio Campiello dopo averlo sfiorato nel 2016 cono "Il giardino delle mosche?</b><br />
Guardi, sono ancora abbastanza frastornato. Per tutta la giornata della finale ho avuto delle sensazioni molto positive, ma quando è stato pronunciato il mio nome sul palco della Fenice non ci volevo credere. Sono molto contento, ma non sono bravo a fare discorsi intorno all'"effetto che fa": mi vengono solo cose banali da dire.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Come nasce il suo
interesse per Gesualdo da Venosa e la decisione di metterlo al centro di un suo
romanzo? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Nasce per caso: prima
di vedere un brutto documentario di Werner Herzog a lui dedicato, non lo
conoscevo. In seguito, ho iniziato a studiarlo e ad ascoltarlo perché la storia
di questo genio musicale che era stato in grado di commettere un omicidio
brutale mi ha molto affascinato: sentivo il tema di fondo – se dall’orrore può
nascere la bellezza – molto mio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Come ha lavorato
per ricostruire la figura di Gesualdo? E quella di Stravinskij?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">L’arrivo di
Stravinskij è stato fondamentale per il romanzo, perché mi ha permesso di non
fare un semplice romanzo storico – in cui si ricostruire la vita e l’opera del
principe – ma un libro che mette in relazione due secoli, due geni e due modi
di vedere la musica e il mondo. Gesualdo e Stravinskij sono, per certi versi,
l’uno l’opposto dell’altro (uno è istintivo, l’altro è razionale; uno è un
autodidatta, l’altro è uno studioso e così via), ma in nome di un comune
concetto della musica “dialogano” a distanza, sono l’uno il padre artistico
dell’altro. Per costruire questo rapporto li ho dovuti studiare a lungo,
leggendo tutto quello che trovavo. La svolta è arrivata quando ho trovato, in
alcuni libri di Stravinskij, dei passi in cui parla di Gesualdo e dell’ammirazione
che prova per lui. Quei passi sono la base di molto di quello che ho scritto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nella vicenda di
Gesualdo è difficile capire dove finisca la storia ed inizino le molte leggende
che avvolgono la sua figura. Come si è documentato? Come ha cercato di
districarsi tra verità storica e leggenda?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">È l’aspetto più
complesso e insieme più affascinante della figura di Gesualdo: ormai è
difficilissimo stabilire che cosa sia davvero accaduto in certi momenti della
vita del principe. Tutto è ammantato di leggenda, da secoli si inventano fiabe
nere sulla sua condotta, tanto che perfino certi studiosi hanno fatto
confusione prendendo per veri certi avvenimenti che sono frutto di leggende
popolari. Questo, da un certo punto di vista, per un narratore è una manna dal
cielo, perché significa che la storia di cui si sta occupando è viva, ed è
stimolante giocare narrativamente su ciò che è vero e ciò che non lo è (il
rapporto falso/vero è uno dei temi fondamentali del romanzo): ma proprio per
poter mettere in piedi questo gioco è necessario avere perfettamente chiaro che
cosa sia storia e che cosa sia leggenda. Sono stato aiutato parecchio da una
persona, Giuseppe Mastrominico: Giuseppe, gesualdino e gesualdiano, è
probabilmente la persona al mondo che conosce meglio il principe, ha condotto
studi storici e filologici su di lui, abita a 50 metri dal castello dove
Gesualdo visse i suoi ultimi anni e morì. È stato la mia guida fondamentale,
insieme a musicologi e musicisti con cui mi sono confrontato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Il fatto più noto
della vita di Gesualdo è l’assassinio della moglie fedifraga Maria d’Avalos.
Lei nel libro suggerisce l’idea che Gesualdo sia quasi stato costretto ad
ucciderla per seguire le leggi e le usanze del tempo, discostandosi dall’idea
che fosse un demonio. E in ogni caso dice che se fu un Lucifero, fu un Lucifero
portatore di bellezza…<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">La frase su Lucifero è
di Stravinskij, io l’ho soltanto ripresa e riusata. Per quanto riguarda
l’omicidio, la questione è ancora aperta: Gesualdo voleva uccidere Maria?
Secondo certi miti sì, poiché era un demonio. Ancora: Gesualdo amava Maria? Forse
no, dopotutto era sua cugina e il matrimonio era combinato. Ma non c’è nulla
che confermi queste illazioni. La sola cosa certa è che egli fu “costretto” a
uccidere per salvare il casato e perché le convenzioni del tempo glielo
imposero. Ma se uccise con soddisfazione o con disperazione è una questione che
nessuno risolverà mai. Per parte mia, dovendo fare un romanzo, ho deciso di
percorrere una strada che rendeva il personaggio del principe, se possibile,
ancora più tragico di quello che è.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">“Il demone a Beslan”, “Il
giardino delle mosche” e “Madrigale senza suono” si possono considerare una
trilogia? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Più che di trilogia –
che è un termine improprio, visto che nei tre romanzi non sono contigui per
ambiente, personaggi e tempi, parlerei di triade. Mi perdoni se la risposta
sarà un po’ lunga, ma mi dà l’occasione per fare un po’ il punto: q</span>uando,
più di dieci anni fa, cominciai a immaginare quello che sarebbe diventato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il demone a Beslan</i>, avevo in mente di
raccontare la storia che ho finito per raccontare e, soprattutto, avevo in
mente il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">modo</i> attraverso cui volevo
raccontarla. Ma, per così dire, mi fermavo lì, al libro che mi stava nascendo
dalle mani.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tra il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Demone </i>e il
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i> – che è la seconda tappa di
questo piccolo viaggio – ho curato la traduzione di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Diavoleide </i>di Michail Bulgakov e ho pubblicato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La buona morte</i>, un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">reportage </i>sull’eutanasia.
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La buona morte</i> è stato scritto in
contemporanea con il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i>: vale a
dire che, durante la stesura del romanzo, ho preso una pausa e ho scritto il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">reportage</i>. Le bibliografie di questi due
libri, in modo solo apparentemente sorprendente, coincidono per larghi tratti.
Come è possibile?, si chiederà forse qualcuno. È possibile: dopotutto, al di là
di quel che si può dire intorno a questi due libri, si tratta di opere che
hanno a che vedere in modo piuttosto diretto con l’idea di morte. Ma non solo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La buona morte</i> contiene una piccola
parte autobiografica e una serie di riflessioni sulla letteratura che fanno di
questo libro il laboratorio per così dire pubblico del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino delle mosche</i>. Ecco, forse tutto nasce proprio durante la
pausa che, quattro o cinque anni fa, mi presi dalla scrittura del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i> per realizzare questo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">reportage</i>: scrivendo di eutanasia, mi
resi improvvisamente conto che non stavo, dopotutto, scrivendo un libro diverso
dal <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i>, e che i temi e gli
argomenti e la voce che stavo usando per <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
buona morte</i> erano fratelli dei temi, degli argomenti e della voce che avevo
usato nei romanzi. Nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Buona morte</i>
facevo, per così dire a carte scoperte e senza troppi artifici narrativi,
quello che avevo fatto nei due romanzi: usavo tutta la letteratura di cui ero
capace per affrontare la morte, il dolore (mio e degli altri) e, se rileggo dei
passi di quel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">reportage</i>, vi trovo
quasi letteralmente gli appunti che nei mesi precedenti avevo preso per la mia
storia di Čikatilo. Insomma: nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Buona
morte</i>, per chi lo sa leggere, c’è il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">making
of </i>del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i>. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Lo stesso meccanismo si è ripetuto questa volta: quando, nel
2014, cominciai a raccogliere i materiali e a immaginare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale senza suono</i> – ed ero ormai consapevole che almeno tre
delle mie opere (le più importanti) erano parenti stretti e, in qualche modo,
sapevo che il romanzo che avrei scritto doveva ampliare questa famiglia – non
avevo in mente di concepire e scrivere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il
peso del legno</i>. Invece, di nuovo, la stesura di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale</i>, a un certo punto, si è interrotta, e dalla penna è
uscito un saggio narrativo, fortemente autobiografico e colmo di riflessioni
sulla letteratura e sullo scrivere. Nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Peso
del legno</i>, come mi era già accaduto, c’è il laboratorio del libro che
verrà: sotto il cappello di una ricerca che è letteraria, biografica e di
senso, io racconto come è nato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale</i>,
e lo racconto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mentre lo sto ancora
scrivendo</i>. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Va da sé, poi, che i tre romanzi che, come dicevo,
compongono una triade ma non una trilogia, dialoghino incessantemente tra loro:
è evidente che hanno temi affini e voci affini; soprattutto, è evidente che
sono costruiti su voci narranti che, ciascuna a suo modo, vengono “disturbate”,
su punti di vista incerti e fallibili, su riscritture e rimuginamenti. Insomma,
i tre romanzi sono fratelli, ma ci sono almeno due cugini che fanno il
controcanto, e lo fanno mettendo in scena l’autore, che per forza di cose nei
romanzi rimane nascosto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A chi mi ha chiesto e mi chiede perché il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i> o <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale</i> siano scritti nel modo in cui sono scritti posso dire che
nessuno dei miei libri è un’opera sola, isolata, ma è qualcosa che dialoga con
il libro che l’ha preceduta e con quello che si è messo a nascere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mentre l’opera di cui parlo veniva scritta</i>.
Nella mia visione, benché sia perfettamente consapevole che tutti i miei libri
sono opere che si possono leggere in modo indipendente, leggere solo il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino </i>o solo il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Demone</i> significa vedere soltanto una parte del problema, non la sua
totalità. I libri sono tanti, l’opera è una. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: red;"><b><span style="color: black; mso-fareast-language: IT; mso-themecolor: text1;"><span style="mso-prop-change: "Fabio Giaretta" 20190917T1019;">Come mai nei </span></span></b></span><span style="color: red;"><b><span style="color: black; mso-fareast-language: IT; mso-themecolor: text1;"><span style="mso-prop-change: "Fabio Giaretta" 20190917T1019;">suoi
libri sente sempre il bisogno di partire dalla storia?</span></span></b></span><span style="color: red;"><b><span style="color: black; mso-fareast-language: IT; mso-themecolor: text1;"><span style="mso-prop-change: "Fabio Giaretta" 20190917T1019;"><o:p></o:p></span></span></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A questa
domanda c’è una risposta stupida e una più intelligente. Quella stupida è che
le biografie dei personaggi storici mi consentono di non dover inventare una
trama. In verità, detta più seriamente, come lettore mi accorgo che una storia
non completamente inventata ma che ha una base storica mi piace di più. “Moby
Dick” ad esempio, è certamente un romanzo di fantasia però è stato scritto dopo
tre anni di navigazione in giro per il globo da parte di Melville. Quindi
conosce le cose che racconta. Per me è fondamentale che ci sia un gancio con la
realtà. A me sembra che nella storia e nella vita reale abbiamo un sacco di
esempi di vite che sono in qualche modo paradigmatiche. Trovo giusto da parte
di chi scrive portare alla luce queste storie, come se fosse una specie di
compito. Parte del mio lavoro consiste nel pescare dal magma delle storie del
passato qualcuno che ha fatto delle cose che sono dei paradigmi di come siamo
fatti noi, e dargli un vestito letterario. Probabilmente questo mi viene da
Dostoevskij<u>,</u> che prendeva spunto per le sue storie da fatti di cronaca, li rielaborava, li rimasticava, li stravolgeva perfino: ma si può trovare un articolo di un giornale dell'epoca con dentro la notizia di qualcuno che, per esempio, ha uscciso una vecchia con una scure.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Cosa l’ha portata a
scegliere come narratore principale Gioachino, il nano deforme che scrive la
cronaca sulla vita di Carlo Gesualdo, ritrovata da Stravinskij? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">L’idea di dover avere
un narratore interno alla storia ma che fosse a suo modo onnisciente e potesse
andare ovunque, perfino nella testa del protagonista: avevo bisogno di una
sorta di demonietto inafferrabile che facesse da controcanto al principe. E poi,
per continuare il discorso cominciato nella risposta precedente: nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Demone</i> ho un narratore in prima persona che
racconta di sé ma viene contraddetto da altre due voci; nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i> ho una voce monologante che
viene per così dire “ribaltata” nella parte finale del romanzo; qui dovevo
trovare un terzo modo di raccontare, ed è nato questo narratore storto che
osserva e racconta in terza la vita del protagonista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Il romanzo in fondo
avrebbe potuto limitarsi alla cronaca di Gioachino sulla vita di Gesualdo. Lei
però ha inserito anche Stravinskij come altra voce narrante del libro. Per
quale ragione?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">In parte credo di aver
già risposto a questa domanda poco sopra. Non mi interessa fare romanzi
storici: mi interessa fare romanzi in cui dialogano mondi e in cui una voce
metta in discussione l’altra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Stravinskij, pur
essendo respinto da alcuni aspetti della vita di Gesualdo, lo sente come un
padre. Il suo in effetti può essere definito come un romanzo che, in un certo
senso, parla di padri e di figli…<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Senza dubbio. Qualcuno
ha notato una cosa che per me era molto importante si notasse: per una volta,
nella storia di Gesualdo pesano di più le morti dei figli che quella della
moglie. All’inizio del romanzo arriva la notizia della scomparsa del
primogenito Emanuele – colui che dovrebbe, per successione, prendere in mano il
regno e continuare il cognome: capito che non avrà eredi maschi, Gesualdo si
chiude nel suo studio e si lascia morire d’inedia. Ci mette una ventina di
giorni, durante i quali Gioachino scrive la sua cronaca. Ma c’è un altro figlio
che muore e che cambia le sorti del principe: il piccolo Alfonsino, in seguito
alla cui morte Gesualdo comporrà gli unici Canti sacri e Responsori della sua
produzione. Insomma: la scomparsa di un figlio porta la morte, la scomparsa
dell’altro cambia la musica. A me questi due aspetti parevano fondamentali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Poi c’è l’altra
questione legata alla paternità: il rapporto Gesualdo – Stravinskij.
Stravinskij sente il principe come un “padre”, ma è combattuto. Si chiede
continuamente: può un assassino, per quanto di genio, essere un padre, essere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mio </i>padre?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Stravinskij dice
che la somiglianza tra lui e Gesualdo sta nel cercare qualcosa di mai udito
attingendo a piene mani da ciò che è già stato udito. Non esiste una creazione
totalmente nuova che non poggi su qualcosa. Questa frase, valida per qualsiasi
creazione artistica e ben lontana dall’idea del genio artistico di stampo
romantico che crea dal nulla, rispecchia la sua visione? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Sì, è una cosa che
pensavo fosse ovvia da dire, invece sto notando che molte persone hanno ancora un’idea
romantica (vale a dire vecchia di due secoli) della creazione artistica. C’è
ancora il mito dell’artista creatore, tutto preso da un certo furore mistico e
che crea in una stanza buia, sudando e spasimando e provando emozioni che solo
lui sa provare. Tutto questo è, probabilmente e mestamente, figlio della
dittatura delle emozioni che impera oggi. Ma nessuno, e dico nessuno, ha mai
creato in quel modo: non si crea sulle nuvole, ma in una bottega – tant’è vero
che anche gli autori romantici scrivevano e riscrivevano le loro opere.
Verrebbe da chiedersi: ma come? Eri tutto preso dall’afflato divino,
dall’Ispirazione, e hai fatto tre versioni del poema, l’hai riempito di
correzioni, l’hai fatto leggere agli amici prima di pubblicarlo? Si crea sulla
base di un’idea, di una intuizione: ma poi c’è il lavoro, la riflessione, la
citazione, il rapporto con la tradizione (padri e figli e di nuovo, a ben
vedere). Niente nasce dal niente. Chi ha un’idea romantica del genio vive in
realtà fuori dal tempo: è come se girasse in carrozza o non avesse l’acqua
corrente in cucina.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Varie volte nel
corso del romanzo Stravinskij dubita dell’attendibilità della voce di Gioachino
definendo la sua cronaca un apocrifo e arrivando addirittura ad ipotizzare che
Gioachino altro non sia che una proiezione e una maschera dietro la quale si
nasconde lo stesso Carlo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Questa
riflessione sull’attendibilità della voce narrante è davvero interessante…<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">…ed è uno dei temi
fondamentali non solo del romanzo, ma del lavoro narrativo che ho fatto fin
qui. Nessuna delle mie voci narranti è certa e pienamente attendibile, tutto è
sempre messo in dubbio e passibile di contraddizione. Non mi interessa
raccontare un evento, ma tutte le possibili versioni di quell’evento. Qui ho
giocato sul <i style="mso-bidi-font-style: normal;">topos </i>del “manoscritto
ritrovato” – che è così fondativo per la letteratura italiana – e il gioco è
stato appunto metterlo costantemente in discussione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">In un passaggio del
romanzo Carlo invidia Tasso per il suo dolore e per la sua pena di vivere e dopo la
morte di Alfonsino dice che questo gli permetterà di comporre come mai prima.
L’arte secondo lei è figlia del dolore e del tormento?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non necessariamente. C’è,
credo, una matrice oscura nella voglia di raccontare e raccontarsi, ma non è una
regola. Nel caso di Gesualdo mi pareva evidente che ci fosse, ma mi pare
evidente anche un’altra cosa – la dice Stravinskij a un certo punto: esiste una
felicità anche dentro la creazione più cupa, c’è una gioia anche nell’orrore.
Questo è fondamentale. Nello Sciascia più nero e sconsolato si percepisce la
felicità, il piacere con cui ha scritto. In questa relazione, in questa
felicità che ci può essere anche nella maggiore cupezza, c’è il segreto della
grande letteratura.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nei suoi libri, e
in quest’ultimo in modo rilevante, si nota una forte insistenza sugli aspetti
più terragni, più bassi, più corporei dell’esistenza. In particolare il corpo
umano è sempre minuziosamente indagato e descritto, anche negli aspetti più
ripugnanti. Come mai?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Perché siamo fatti di
corpo, di liquidi, di tensioni, di nervi. Li portiamo ovunque e sono il filtro
attraverso cui guardiamo il mondo e lo abitiamo. I bisogni, i dolori ma anche
le gioie del corpo sono la prima cosa, sempre: se ci stanno dando il Nobel ma
dobbiamo andare in bagno, la nostra preoccupazione fondamentale sarà trovare
una toilette, non certo quella di salutare il re di Svezia secondo il
protocollo. Descrivere i corpi è dire chi siamo e come stiamo. Tutto qui. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 18pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Il tema del male,
presente in tutti i suoi libri, è strettamente connaturato qui con quello della
bellezza. Cosa la affascina di questo tema? Sembra tra l’altro che il periodo
più fulgido e creativo di Gesualdo cominci proprio dopo l’assassinio della
prima moglie…<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non saprei spiegarlo, ma
è così da sempre. Non bisogna però cadere nell’errore che hanno fatto molti a
proposito di Gesualdo, vale a dire di pensare che l’omicidio e forse il senso
di colpa siano stati il motore per la sua musica. Non abbiamo elementi per
poterlo dire con certezza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Il libro ha aspetti
fortemente gotici, soprattutto attraverso la vicenda di Ignazio tenuto come una
bestia nei sotterranei del castello e quella della serva amante Aurelia, che
con Polissena incarna una sorta di strega. Per quale ragione ha dato un rilievo
così ampio agli aspetti gotici?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Perché mi divertiva
l’idea delle segrete e di un figlio strappato dal ventre di Maria morente: è
una rielaborazione di una delle tante leggende su Carlo e Maria. Qualcuno
scrisse che lei era incinta dell’amante quando morì; altri dissero che il vero
motivo dell’assassinio fu che lei aveva già partorito un bambino che somigliava
a Fabrizio Carafa e che, dopo la sua morte, il bimbo fu fatto morire di stenti
da Gesualdo. Niente di questo è vero, ma come dicevo prima scrivere un romanzo
di questo tipo è tenere conto dei dati storici e di quelli leggendari e trovare
il modo di farli convivere. Ecco, la convivenza che ho trovato è quella di
Ignazio e della strana trinità che compone insieme a Gioachino e al principe
Carlo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Ignazio, mostruosa creatura reclusa nei sotterranei del castello, è costruito a partire dalla leggenda secondo la quale Maria, al momento dell’assassinio, era incinta. Cosa voleva rappresentare con questo personaggio? Può essere visto come il simbolo dei mostri che abitano l’inconscio di Carlo Gesualdo? O per lei aveva qualche altro valore simbolico?</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
È la colpa, ma anche la malattia (meglio: l’ipocondria) di Carlo, la sua ossessione. Il principe, tramite Gioachino, se ne prende cura. Ma Ignazio è un personaggio talmente vago che il lettore può riempirlo con ciò che crede. L’importante è che esista e che sia laggiù, con il suo campanellino alla caviglia e il suo corpo non completamente formato.</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Aurelia è un
personaggio davvero esistito o l’ha inventato? E Maria Polissena? Con loro
entra nel romanzo il tema delle streghe che sarà centrale nel Cinquecento con
la Controriforma…<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Sono esistite
entrambe. La loro storia è vera e documentata. Io l’ho soltanto romanzata.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">A parte la musica,
quella di Carlo è la vita di uno sconfitto, non a caso morirà senza eredi,
nonostante abbia fatto tutto quello che poteva per continuare la dinastia, in
quanto i suoi due figli maschi, Emanuele e Alfonsino moriranno entrambi prima
di lui.<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">I grandi momenti della
vita di Carlo non dipendono da lui, mai: è in seminario e viene richiamato
(controvoglia?) perché muore suo fratello e dunque deve imparare ad
amministrare il regno; fa due matrimoni combinati (il primo finisce come
sappiamo, il secondo, con una d’Este è solo per opportunità politica) che tra l’altro
non è mai lui a combinare, ma qualcuno che decide in sua vece; gli muoiono due
figli; l’unica vera, autentica decisione che prende, a parte quella della
musica, è lasciarsi morire.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Tanto lei è prodigo
di descrizioni e di attenzioni per Maria d’Avalos quanto è scarno e asciutto
per quanto riguarda la seconda moglie di Gesualdo, Leonora d’Este… Con questo
voleva accentuare l’insignificanza di questa donna e il suo ruolo per così dire
marginale nella vita di Gesualdo?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Sì. Maria era famosa
per essere la donna più bella di Napoli: pare fosse tanto bella che su di lei
sono nate storie poco edificanti anche dopo che era morta. Non è detto che
Carlo non l’amasse, e in ogni caso la storia con lei è uno dei centri
nevralgici della sua vita. Di Leonora d’Este importa poco sia a Carlo che a me:
di fatto contano di più il figlio che lei e Carlo ebbero (Alfonsino) e il fatto
che, grazie al matrimonio, si aprirono per il principe, finché non se ne stufò,
le porte di Ferrara – città allora sulla via della decadenza ma che era ancora
una delle capitali musicali d’Europa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nel libro i
rapporti tra il principe e le donne si riducono spesso a una dimensione
sessuale per Maria e Aurelia o assenza con Leonora. Perché ha dato questo peso
così rilevante a questa dimensione?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Per la questione dei
corpi di cui sopra, perché così traspare dalle lettere e per far vedere come
una delle principali caratteristiche di Carlo Gesualdo è la bulimia: a tavola,
al liuto, alla spinetta e nel letto. Non credo però che i rapporti tra il mio
principe e le sue donne si limitino alla sfera sessuale: c’è desiderio, anche,
e seduzione, e una complicità – con Maria finché le cose non precipitano e con
Aurelia finché lei non commette degli errori – che esula dalla questione dei
corpi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nello scrivere
questo romanzo, quali problemi stilistici si è posto?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Uno fondamentale:
quale lingua deve usare Gioachino? L’italiano del Seicento? Diventerebbe un
libro illeggibile e crollerebbe miseramente tutto il discorso sul testo
apocrifo o meno. Ho optato – grazie allo stratagemma di Stravinskij che legge
il testo in una traduzione contemporanea – per una lingua con echi e costrutti
del passato ma fruibile dai lettori di oggi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Carlo Gesualdo si
lamenta del fatto che il numero delle note sia finito mentre lui vorrebbe una
musica infinita. Per Stravinskij invece è bene che ci siano dei limiti che
permettono comunque possibilità vastissime. Tarabbia a quale visione si sente
più vicino?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">È un altro modo di
riproporre la vecchia diatriba romantici/contemporanei di cui sopra. Non si
scrive al buio, ma si traccia il percorso dentro cui si camminerà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Dentro questo libro
si nota un dialogo continuo con la nostra tradizione, per il romanzo epistolare
ad esempio “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo, per quanto riguarda
invece il manoscritto ritrovato viene in mente Manzoni e “I promessi sposi”. Sono
due riferimenti a cui voleva fare esplicito riferimento? A quali altri modelli
si è ispirato per questo libro?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Sì, più Manzoni che
Foscolo, in realtà. In <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale senza
suono</i> ci sono echi di Bulgakov, Kazantzakis, Malaparte, Volponi, Melville,
Shakespeare (in particolare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Macbeth </i>e
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La tempesta</i>), Herling (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Madrigale funebre</i>, uno dei suoi ultimi
racconti, è dedicato a Gesualdo), Bruno (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">De
infinito universo e mondi</i> in particolare), Canetti (il cognome di
Gioachino, Ardytti, è una storpiatura del cognome di sua madre), Testori, Mann
(il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dottor Faustus</i>, naturalmente),
Andreev, Bufalino, Sebald, Starobinski, Dostoevskij, Hugo (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’uomo che ride</i>), Freud, Balzac, Mari, Pomilio (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il quinto evangelio</i>), Yourcenar (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’opera al nero</i>), Eco, Casanova e altri,
ma in misura minore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nel libro,
soprattutto nella parte legata a Stravinskij compaiono degli strani animali:
una scimmia, una foca e poi un misterioso cane che li porta alla libreria
antiquaria dove Stravinsky acquisterà il resoconto segreto sulla vita di Carlo
Gesualdo. Quale ruolo hanno queste inserzioni animali?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">C’è un piccolo bestiario
in ogni mio romanzo: nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Demone a Beslan</i>
erano scarafaggi e scolopendre e un gattino, nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino delle mosche</i> erano le tortore. Qui comincio con una
scimmia e una foca: sono cose realmente accadute a Stravinskij nella sua villa
di Los Angeles. Poi ci sono un ca<span class="msoIns"><ins cite="mailto:Fabio%20Giaretta" datetime="2019-09-17T10:22">g</ins></span>netto
nero (evidente riferimento al <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dottor
Faustus</i>) e cavalli, lupi e un gabbiano (in una scena che, mesi dopo aver
pubblicato il libro, ho improvvisamente capito essere un rifacimento della
scena con la tortora nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino</i>). Mi
piace che le mie scene vengano a volte raccontate dall’occhio inconsapevole e
metaforico degli animali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Non è la prima
volta che la musica ha un ruolo centrale in un suo romanzo. Era già successo
con “Marialuce” Da dove deriva questa fascinazione per la musica?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non saprei. Forse dal
fatto che un po’ suonicchio, ma in realtà non volevo fare, dopo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Marialuce</i>, un altro romanzo sulla
musica: è stato Gesualdo a imporsi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Gesualdo è un
credente eppure la sua religiosità è qualcosa di codificato dalle regole del tempo,
accettata nella sua rigida ritualità. La sua religiosità, per quanto
tormentata, sembra mancare di profondità. </span></b><b><span style="mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin; mso-fareast-language: IT;">È</span></b><b><span style="mso-fareast-language: IT;"> d’accordo con questa visione? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non saprei. Non sono
in grado di giudicare la religiosità degli altri, soprattutto se sono morti da
quattro secoli. Pare che le opere penitenziali che commissionò fossero sincere,
così come l’intento con cui fece edificare la chiesa di Santa Maria delle
grazie o compose i canti sacri. Ma più in là non oso spingermi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Nell’ultima parte
della sua vita sembra che Carlo entri in una fase di pentimento e di
espiazione, non a caso commissiona anche la famosa “La pala del perdono”. Che
cosa vuole espiare secondo lei? Per cosa si sentiva in colpa? Era sincero a suo
avviso il suo pentimento?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non so se sia corretto
dire così: le sue prime composizioni, quando ha meno di vent’anni e non ha
ancora ucciso, sono già su testi penitenziali: ovviamente, questo fa parte di
una tradizione a cui lui si conforma, ma nulla ci vieta di pensare che non
fosse sincero. È un uomo che fa tutto ciò che il suo tempo impone (preghiera,
pentimento e omicidio compresi), ma sarebbe superficiale sostenere che faccia
tutto questo con leggerezza “perché è così che si fa”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b>Ne “La buona morte” lei racconta la malattia di suo
nonno e di come questo evento sia stato decisivo per la sua vita. In che modo
questo fatto ha a che fare con la sua scrittura?</b><br />
Due sono i libri in cui io provo ad andare alla radice
del lavoro che faccio: “La buona morte” e “Il peso del legno" -, quest’ultimo
tra l’altro è un libro di bilancio perché scritto quando ho compiuto
quarant’anni. Credo che se mio nonno non si fosse ammalato, io non avrei mai
pensato di scrivere nella mia vita. Lui si è ammalato nel 1990, quando avevo 12
anni, ed è morto nel 2005. È rimasto paralizzato nella parte destra
del corpo e non ha più parlato. Questo per me ha rappresentato un prima e un
dopo: il nonno prima c’è, poi non c’è più nel modo in cui io l’avevo
conosciuto. Ho questa immagine di me che va a trovarlo a casa sua quando avevo
13, 14 anni e mentre lo guardo in silenzio cerco di entrare nella sua testa e
guardare me con i suoi occhi: chissà cosa pensa di me lui che ora ha questo
sasso nella testa, chissà come mi vede. Ecco, l’idea di mettermi nella testa di
un altro malato viene da lì. Tutte le volte che mi viene chiesto da dove
arrivano le mie storie, da dove arrivi la mia attrazione per il male, la
malattia, il dolore, tutte le volte mi viene in mente questa scena.</div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;"><span style="mso-tab-count: 1;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="mso-fareast-language: IT;">Dopo “Madrigale
senza suono” ha già in mente quale sarà il prossimo libro a cui lavorerà? Se sì
può dirci qualcosa? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="mso-fareast-language: IT;">Non ho idee, ma per me
è normale. Tra un libro e l’altro metto sempre un vuoto di uno o due anni. Non
è una cosa che scelgo di fare: ho soltanto capito e accettato che, dopo gli
anni di lavoro che mi costa un romanzo, ho bisogno di non scrivere per un bel
po’.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<b>Come sta secondo lei la letteratura italiana oggi?</b></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
Nonostante quello che si dice, la letteratura italiana
contemporanea sta bene anche se forse non lo sa. Il problema è che si portano
sugli altari le persone sbagliate. Esistono grandissimi scrittori di cui si
parla pochissimo. Penso che Filippo Tuena, Laura Pariani e Angela Bubba
(scrittrice di cui probabilmente pochissimi hanno sentito parlare) siano tre
autori straordinari.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
ANDREA TARABBIA è
nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi "La calligrafia come arte della guerra" (2010), "Il demone a Beslan" (2011), "Il giardino delle mosche" (2015; Premio Selezione
Campiello 2016 e Premio Manzoni Romanzo Storico 2016) e i saggi "La buona morte" (2014) e "Il
peso del legno" (2018). Nel 2012 ha curato e tradotto "Diavoleide "Di
Michail Bulgakov. "Madrigale senza suono", uscito nel 2019 per Bollati Boringhieri, ha vinto l'ultima edizione del Premio Campiello. Vive a Bologna.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-8517436236589483842019-07-22T13:59:00.002+02:002019-07-22T14:01:31.214+02:00"I topi grigi. Il romanzo cinematografico di Za la Mort" di Denis Lotti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://mimesisedizioni.it/media/catalog/product/cache/1/thumbnail/9df78eab33525d08d6e5fb8d27136e95/c/i/cinema-origini-lotti-topi-grigi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://mimesisedizioni.it/media/catalog/product/cache/1/thumbnail/9df78eab33525d08d6e5fb8d27136e95/c/i/cinema-origini-lotti-topi-grigi.jpg" data-original-height="750" data-original-width="500" height="200" width="133" /></a></div>
(Articolo apparso sul Giornale di Vicenza il 21 giugno 2019)<br />
<br />
di Fabio Giaretta<br />
<div class="MsoNormal">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Dopo aver contribuito in modo decisivo alla riscoperta di <span style="mso-bidi-font-style: italic;">Emilio Ghione</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">con</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">“L’ultimo
apache”, il vicentino Denis Lotti, docente di storia del cinema all’Università
di Padova, torna a confrontarsi con questa figura cardine del cinema muto
italiano attraverso il saggio “I Topi Grigi. Il romanzo cinematografico di Za
la Mort” </span>(Mimesis, pagg. 98). In questo nuovo libro Lotti concentra la
sua analisi sul serial in otto puntate, intitolato “I Topi Grigi”, scritto,
diretto e interpretato da Ghione, che debutta in sala il 6 giugno 1918, mentre
l’esercito italiano sta per affrontare la battaglia del Solstizio contro gli
austriaci (15 - 24 giugno 1918). Protagonista è l’apache parigino Za la Mort, eroe
oscuro dalle nobili origini, il quale, persa ogni ricchezza a causa di un
parente disonesto, decide di vivere nei bassifondi parigini, tramutandosi in un
misterioso vendicatore e tutore dell’ordine.<span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12.0pt;"> </span>Accanto a Za la Mort, che nel gergo sprezzante
della malavita significa “Viva la morte”, troviamo l’amata Za la Vie, interpretata
da Kally Sambucini, a cui Ghione fu legato anche nella vita. Il serial, tra i
più lunghi dell’epoca e appartenente ad un ciclo di trentasei titoli complessivi
dedicati a Za la Mort, prende le mosse da una busta nera posseduta dai Topi Grigi,
una banda di ladri guidati da Grigione, che svelerebbe l’identità di un ragazzo
salvato dall’apache parigino. Il tentativo di recuperare la busta dà il via a
molte peripezie che portano l’eroe a viaggiare nelle più diverse ed esotiche
parti del mondo. <o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<div style="text-align: justify;">
Gli elementi più interessanti di questo ambizioso prodotto,
realizzato con mezzi artigianali per un vasto pubblico, sono la contaminazione di
stili e generi (legati per lo più alla letteratura popolare dell’Ottocento,
soprattutto d’oltralpe), la visione globetrotter piuttosto rara nel nostro
cinema, la forza espressiva della recitazione di Ghione “che colma le lacune
tecniche di una regia che si limita a stabilire il punto di vista”, e l’uso,
seppur ancora embrionale, del cliffhanger, cioè la sospensione e il
collegamento tra le puntante per tenere alta la suspense.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<div style="text-align: justify;">
“I Topi Grigi” ha avuto una notevole fortuna critica soprattutto
grazie ad un articolo di Umberto Barbaro che colpito dalla messa in scena, a
suo dire, molto più realistica dei film del tempo, coniò l’etichetta di
Neo-realismo destinata ad essere ripresa, con un valore ben più pregnante, per
identificare un’irripetibile stagione del cinema italiano. A testimoniare la presenza
nell’immaginario di questo serial è anche una poesia di Sanguineti intitolata
FILM/A/TO e dedicata a vari film tra cui I Topi Grigi: “il ladro gentiluomo è
proprio un gentiluomo: è Za-la-Mort: / ma i Topi Grigi sono topi, proprio: e
poi c’è Za-la-Vie:”.<o:p></o:p></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><strong style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">Denis Lotti</strong><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> insegna Studi sull’attore nel cinema presso l’Università degli Studi di Padova e Caratteri del cinema muto presso l’Università degli Studi di Udine. Si occupa di storia del cinema italiano, in particolare del cinema muto. Fra l’altro, ha pubblicato le monografie </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">L’ultimo apache. Emilio Ghione, vita e film di un divo italiano</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (2008),</span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;"> La documentazione cinematografica</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (con Paolo Caneppele, 2014), </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">Muscoli e frac. Il divismo maschile nel cinema muto italiano</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (2016), nonché le curatele </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">Za la Mort</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (2012) e </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">Quattro anni fra le “Stelle”</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (2017). È protagonista del documentario Rai </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; font-size: 14px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px;">Sperduti nel buio</em><span style="background-color: white; color: #666666; font-size: 14px;"> (2014).</span></span></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-59403353402182562322019-07-22T13:53:00.002+02:002019-07-22T13:54:56.585+02:00"Emilio Ghione. L'ultimo apache. Vita e film di un divo italiano" di Denis Lotti<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://img.ibs.it/images/9788895862064_0_221_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="253" data-original-width="221" src="https://img.ibs.it/images/9788895862064_0_221_0_75.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
(Articolo apparso sul Giornale di Vicenza)<br />
<br />
di Fabio Giaretta<br />
<br />
Pochi, anche
tra gli studiosi e gli appassionati di cinema, ricordano oggi il nome di Emilio
Ghione, una delle personalità più interessanti del cinema muto italiano. Dopo
avergli dedicato una tesi di laurea, vincitrice del Premio internazionale
Filippo Sacchi 2007, e alcuni articoli, il vicentino Denis Lotti, <span style="text-align: start;">docente di storia del cinema all’Università di Padova</span>, ha pubblicato il
saggio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Emilio Ghione. L’ultimo apache.
Vita e film di un divo italiano</i> (Cineteca di Bologna, 206 pp., euro 14),
che rappresenta un contributo decisivo per la riscoperta di questa figura.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
Ghione fu
attore, regista, sceneggiatore, scrittore, divo. Fu anche il primo storico del
cinema italiano muto, al quale dedicò il saggio <st1:personname productid="La Parabole" w:st="on"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Parabole</i></st1:personname><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> du Cinéma
italien</i>, pubblicato postumo in Francia. In lui si rispecchia la parabola
del cinema muto italiano, dal suo massimo sviluppo al suo inarrestabile declino.
Lotti ricostruisce con grande rigore la sua vita, le sue opere, il contesto
culturale, produttivo e cinematografico nel quale visse, attraverso la
minuziosa esplorazione di moltissimi documenti filmici e extra-filmici
conservati in archivi italiani e stranieri.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Tra i vari materiali rinvenuti e raccolti da Lotti, grande importanza riveste
l’autobiografia di Ghione, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Memorie e
confessioni</i>, pubblicata a margine della rivista “Cinemalia” da marzo a
dicembre 1928, e utilizzata per la prima volta in uno studio sull’attore e
regista. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
Emilio
Ghione nasce a Torino il 30 luglio del 1879. Per tutta la giovinezza segue il
mestiere del padre, Celestino Ghione, che di professione fa il pittore, e si
specializza nella miniatura. Il debutto cinematografico avviene nel <st1:metricconverter productid="1909, in" w:st="on">1909, in</st1:metricconverter> un film di cui
non si conosce il titolo, nel quale interpreta, per pochi istanti, la parte di un
guerriero a cavallo. Ottiene i primi successi personali nel 1911 con <st1:personname productid="La Gerusalemme" w:st="on"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Gerusalemme</i></st1:personname><i style="mso-bidi-font-style: normal;">
liberata</i> e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il poverello di Assisi</i>,
entrambi diretti da Enrico Guazzoni. La recitazione di Ghione si caratterizza fin
da subito per il suo carattere antiteatrale e per la tensione drammaturgica
comunicata attraverso l’uso totale del corpo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 1913 esordisce anche come regista con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il circolo nero</i> e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Idolo infranto</i>. Nel 1914 si ha l’esordio cinematografico di Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname>, nel film <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nelly la gigolette</i>, personaggio che
otterrà un enorme successo e a cui Ghione deve buona parte della sua fama.
Nella sua vasta filmografia, oggi in gran parte perduta, ma accuratamente
ricostruita e analizzata da Lotti, i film che hanno per protagonista Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname> sono ben diciassette. Quattro
di questi, ovvero <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il triangolo giallo </i>(1917),
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">I topi grigi </i>(1918), <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dollari e fracks </i>(1919) e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Zalamort. Der Traum der Zalavie</i> (1924)
hanno la struttura del serial a puntate. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
Ghione
inventa questo personaggio rifacendosi alle storie degli apache parigini che
godono di successo duraturo dalla metà del XIX secolo almeno fino alla prima
guerra mondiale. L’appellativo apache viene riferito agli abitanti del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">demi monde</i>,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>ovvero i bassifondi degradati di Parigi che tanto spazio hanno in
molta letteratura d’appendice. Altre parentele illustri sono quelle con Arsène
Lupin e con Fantômas, soprattutto per l’eccellenza di Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname> nell’arte del
travestimento. La maggioranza dei film della serie vede l’apache nel ruolo di
eroe giustiziere e difensore dei deboli. Strettamente connessa a Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname>, che nel gergo
sprezzante della malavita significa “Viva la morte”, è la figura di Za la vie,
compagna dell’eroe oscuro, interpretata da Kally Sambucini, a cui Ghione fu
legato anche nella vita. La saga di Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname> presenta però varie incongruenze tanto che
in alcuni film, come in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sua Eccellenza <st1:personname productid="la Morte" w:st="on">la Morte</st1:personname></i> (1919), egli non
appare come il giustiziere votato alla lotta contro il crimine ma come un
apache assassino, senza codice morale. Oltre ai film, Ghione dedicò al suo
personaggio più celebre anche due romanzi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Za
<st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname></i>,
pubblicato nel 1925 e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’ombra di Za <st1:personname productid="la Mort" w:st="on">la Mort</st1:personname></i>, pubblicato nel
1929. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: -28.4pt; text-align: justify;">
Tra gli
ultimi suoi film vanno ricordati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
cavalcata ardente </i>(1925) di Carmine Gallone e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gli Ultimi giorni di Pompei </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(1926) di Amleto Palermi e Carmine Gallone. Le
interpretazioni che Ghione regala in questi due film rimarranno nella memoria
collettiva dei posteri. Gli ultimi anni vedono un graduale declino, per Ghione
è difficile ottenere una semplice scrittura anche come comparsa ed è costretto
suo malgrado ad accettare di recitare in teatro. Muore il 7 gennaio del 1930
alla presenza di Kally Sambucini e del figlio Piero. La salma è tumulata il
giorno 11 gennaio nel cimitero del Verano in Roma, in un loculo ancora presente.
Lo scolorito epitaffio recita: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">portò
glorioso per il mondo / il nome dell’arte muta italiana / artista e signore /
ne seguì la dolorosa sorte dalla ricchezza giunse alla povertà / l’affetto di
pochi fu l’ultima sua gioia</i>.<o:p></o:p></div>
<br />Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-90119985192469177322019-07-16T17:16:00.000+02:002019-07-22T14:06:09.760+02:00Intervista a Stefano Massini per "Qualcosa sui Lehman"<br />
<div class="MsoListBulletCxSpFirst" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Mi piace pubblicare, seppur con
un ritardo di due anni, questa intervista a Stefano Massini, nata in occasione
del tour Premio Campiello 2017 per lo straordinario e geniale romanzo “Qualcosa
sui Lehman”. Una versione assai più ridotta di questa è uscita sul Giornale di
Vicenza. Molto era rimasto da sbobinare di una lunga intervista telefonica ad Asiago, fatta in auto con il sole cocente di luglio che arroventava sempre più l'abitacolo mentre un cane abbaiava senza sosta sovrapponendosi alla parole di Massini. Finalmente ho trovato il tempo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoListBulletCxSpMiddle" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoListBulletCxSpMiddle" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<o:p><br /></o:p></div>
<div class="MsoListBulletCxSpMiddle" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<o:p></o:p></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://img.ibs.it/images/9788804658993_0_221_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="221" height="320" src="https://img.ibs.it/images/9788804658993_0_221_0_75.jpg" width="210" /></a></div>
<br />
<div class="MsoListBulletCxSpMiddle" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="text-indent: 0cm;">Per Stefano Massini, autore del
sorprendente e corposo romanzo “Qualcosa sui Lehman” (Mondadori, pagg. 773), la
letteratura deve sempre avere anche un fine pratico, deve cioè aiutare a capire
la realtà che ci circonda. In tal senso la storia dei Lehman Brothers è in
grado di darci una nitida fotografia della nostra società nella quale la
ricchezza è divenuta il metro di valutazione di ogni cosa. In questo libro, che
trascende volutamente qualsiasi genere, lo scrittore e drammaturgo fiorentino
racconta, in modo avvincente e senza mai scadere nella retorica, l’epopea dei
Lehman dal 1844, quando il fondatore Henry parte dalla Germania e sbarca in
America, fino al rovinoso crollo del 2008. In mezzo tre generazioni di uomini
che via via si allontanano dalle loro radici, sostituendo i riti della cultura
e della religione ebraica, di cui Massini si rivela profondo conoscitore, con
quelli del capitalismo più cinico e sfrenato.</span></div>
<div class="MsoListBulletCxSpLast" style="margin-left: 0cm; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Come mai ha scelto di
affrontare un tema così ostico come quello della finanza attraverso la storia
dei Lehman?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La risposta è semplicissima: perché mi sono reso conto che,
da estraneo al mondo dell’economia, c’era soltanto una pagina, un fascicolo di
ogni quotidiano che saltavo a piè pari perché non lo capivo ed era l’insieme
delle pagine riguardanti l’economia. Questa parte del giornale la saltavo come
se proprio rinunciassi a capirla e credo che sia una cosa che fanno in molti.
Ad un certo punto mi sono però reso conto che era una cosa completamente senza
senso perché poche cose in realtà avevano una ricaduta su di me come
l’economia: io pagavo il mutuo, avevo delle ritenute sullo stipendio per cui in
qualche modo ero profondamente collegato al tema dell’economia, aveva delle
conseguenze profonde sulla mia vita quotidiana. È come se noi rinunciassimo a
capire il linguaggio dei medici perché è poco comprensibile ma in realtà ci
parlano di qualcosa che riguarda la nostra salute cioè una cosa alla quale
teniamo. Ecco è un po’ lo stesso. E allora ho deciso di scrivere qualcosa
sull’economia che servisse un po’ a spiegarla con parole semplici. Da qui è
nata la scelta di raccontare una storia di economia attraverso il filtro di una
grande storia familiare, di una grande storia di esseri umani che ce la mettono
tutta per affrontare i loro problemi e le sfide della società in cui vivono.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Lei all’inizio del
libro scrive, riferendosi ai Lehman, che non tutti potranno dire di essere
divenuti una metafora. Che metafora rappresentano a suo avviso? <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sono una metafora enorme di un fenomeno al quale tutti
abbiamo prestato pochissima attenzione ed è il fatto che nel corso del
Novecento siamo passati – e questo la storia dei Lehman lo racconta molto bene
– da una società bassata ancora sulla materia, sulla concretezza (nel caso dei
Lehman cominciano a lavorare il cotone, poi passano al caffè, al petrolio,
tutte cose concrete, che puoi toccare, sono insomma delle merci) al disprezzo
per tutto ciò che era materia, concreto, merce, e senza che ce ne rendessimo
conto il denaro ha iniziato ad essere usato non per finanziare delle merci ma
per comprare altro denaro, il denaro che<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>finanzia altro denaro e si è entrati in un mondo completamente scisso
dalla realtà in cui tutto è numerico, astratto, è un valzer di numeri. Questo è
evidente nella storia dei Lehman che sono passati da un negozio di stoffe ad
una grande holding internazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il libro racconta la
scalata economica dei Lehman Brothers attraverso tre generazioni. In che modo
si è documentato per questo libro? Quali sono le fonti storiche a cui ha
attinto? Dove finisce la realtà storica e comincia la finzione? <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Mi sono documentato tantissimo, è stato un lavoro enorme. I
personaggi che io racconto sono tutti assolutamente veri, reali, non solo sono
assolutamente veri e reali ma anche i lineamenti del loro carattere, i modi di
essere, sono veri i matrimoni, è vero tutto quanto. Ci ho messo un anno a
informarmi prima di scrivere questo tomo così enorme. L’ho fatto perché
dobbiamo tener presente che negli Stati Uniti pronunciare il nome Lehman è un
po’ come se in Italia tu pronunciassi il nome Agnelli. Di queste famiglie si
conoscono le vicende, i figli, le dinamiche, i matrimoni. Negli Stati Uniti c’è
una ricca produzione riguardante la famiglia Lehman che qui da noi ovviamente è
meno famosa non essendo una famiglia italiana. È quindi tutto vero, chiaramente
quello che mi sono preso la libertà di inventare e di integrare è l’insieme
delle modalità che sono occorse per mostrare quelle personalità. Per cui i modi
in cui andarono gli incontri tra queste persone, le parole che questi si
dissero, quelle chiaramente sono invenzioni. È una forma di sceneggiatura,
ovviamente, però i personaggi sono reali, veri, anagraficamente inappuntabili.
Come dicevo prima ci ho messo molto tempo perché c’era una doppia
documentazione da fare: da una parte la storia vera della famiglia Lehman,
quindi chi erano, com’erano, dall’altra quella legata all’economia, c’era cioè
da fare un lavoro di apprendimento da parte mia su come funziona questo mondo
che non conoscevo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">In effetti è riuscito
nell’intento di rendere molto chiari concetti economici difficili e astrusi…<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questa è una delle cose che mi fanno più piacere. Quando
qualcuno viene da me e mi dice: guardi, grazie al suo libro ho capito qualcosa
che pensavo non avrei mai capito, per me è fantastico. Sono sempre stato
convinto che il teatro da un lato e ora che mi occupo di libri, i libri,
debbano sempre avere anche un obiettivo pratico, cioè devono essere utili,
devono darti delle forme per concepire e capire l’esistenza di tutto ciò che ti
sta ruotando intorno. Non deve necessariamente essere l’economia o una forma di
scienza, può anche essere un libro sui sentimenti umani, però deve esserci
qualcosa per cui un libro ti è utile. Per me questo è essenziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Questo libro mostra
anche come tutte le categorie novecentesche con cui noi interpretiamo tuttora
la realtà sono venute meno…<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La sensazione che ho sempre avuto io è che con il cosiddetto
crollo delle ideologie si è in qualche modo imposto inevitabilmente un vuoto
che in qualche modo ancora non è stato superato, nel senso che noi tendiamo
ancora oggi, purtroppo, a leggere affannosamente la realtà con delle forme di
lettura non più adatte. Pensiamo alla politica che sta continuando, ancora oggi,
a cercare di risolvere i problemi con la dialettica tra destra e sinistra. Cioè
noi non abbiamo ancora superato uno schema interpretativo che evidentemente è
novecentesco. Secondo me la storia dei Lehman parla un po’ anche di questo
perché racconta che il mondo cambia inevitabilmente e vertiginosamente intorno
a chi lo popola, e chi lo abita dovrebbe cercare sempre – e questo, devo dire,
gran parte dei Lehman hanno cercato di farlo – di stare in ascolto di che cosa
l’umanità stava per chiedere. Questo ascolto si è rivelato poi fondamentale
perché hanno saputo prevenire alcune risposte dell’umanità come il computer o
quando si inventano quella che allora sembrava un’utopia cioè il fatto che ci
potesse essere una società interamente basata sul cinema. Chi potrebbe mai
pensare, compreso me, che una banca in realtà è artefice di capolavori del
cinema o di carriere di attori? Da un certo punto di vista, questa, questa è la
forza dell’economia.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Perché ha usato il
termine “qualcosa” nel titolo? In verità il libro racconta ampiamente e con
molti dettagli la scalata di questa famiglia…<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
È un titolo ironico infatti. C'è una cosa che a me preme
molto e a cui penso frequentemente in questo ultimo mese e mezzo di Campiello:
sono molto contento di essere arrivato finalista al Premio Campiello intanto
perché era la prima volta che scrivevo un libro e già essere arrivato nella
Cinquina dei finalisti è un successo; ma anche perché alla fine il Veneto così come
la Toscana dalla quale io vengo, sono terre che hanno saputo veramente
costruire un equilibrio economico incredibile sulla base dell’azienda a conduzione
familiare. Per cui trovo che la storia dei Lehman sia quanto mai al posto
giusto in questo premio perché è davvero la storia di una conduzione familiare
tanto che, quando muore Bobbie, l’ultimo dei Lehman, la mia storia va verso il
finale. Terminata la vita di colui che aveva dato per ultimo il cognome alla
banca senza avere eredi è chiaro che a questo punto la banca si perde. E questa
credo che sia una cosa tutto sommato bella perché è la dimostrazione, in
qualche modo, che le famiglie sono anche dei centri di produzione e questa
storia secondo me lo racconta anche nei suoi aspetti conflittuali attraverso le
liti fra i due fratelli, tra i padri e i figli. Le asperità ci sono, niente è
soltanto sorridente e bello. Io cerco di raccontare questa storia perché trovo
che non riguarda soltanto gli Stati Uniti, non riguarda soltanto la finanza
americana ma riguarda tutti noi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il punto di vista che
lei sceglie è quello un narratore onnisciente che però non giudica mai i suoi
personaggi. Sono i fatti, le azioni che compiono a porli davanti al tribunale
dei lettori. C’è una ragione per cui ha scelto questo punto di vista?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Provenire dal mondo del teatro mi ha molto aiutato perché in
teatro la retorica è pericolosissima e c’è una ragione fondamentale per cui
questo avviene secondo me: in teatro tu sei nel palcoscenico in carne ed ossa
quindi se dici qualcosa di retorico anche tu lo senti tornare addosso. A volte
invece nei libri è potenzialmente più facile essere retorici per il semplice
fatto che l’autore non c’è quando il lettore legge quindi è meno percepibile da
parte sua il luogo comune. Io ho cercato di stare attentissimo a questo
discorso ponendomi proprio in una condizione di non giudizio anche perché,
detto sinceramente, tutto voglio essere fuorché un difensore dell’alta finanza
che ha fatto gravi danni. Certo quando cominciai a scrivere i Lehman c’era
intorno a me, e c’è tuttora a distanza di anni, anzi forse è peggiorato, un
fortissimo sentimento antibancario e antieconomico. Oggi in questa Italia
reduce da enormi scandali come quello del Monte dei Paschi o delle banche del
Veneto c’è un forte sentimento antibancario per cui si dice che le banche sono
tutte ladre. In realtà il problema è molto più complesso perché fondamentalmente
stiamo parlando del cambiamento che ha avuto in questi ultimi anni il concetto
di ricchezza. Oggi la ricchezza è diventata tutto, lo spartiacque, il metro di
valutazione di tutto quanto, l’elemento determinante per tante cose. Pensiamo
nel mondo a quanti milionari sono stati eletti presidenti. Io però non devo far
percepire alcun giudizio, devo soltanto raccontare una storia. Tra l’altro alla
fine l’economia nel mio libro c’è, è un elemento potente, centrale, però è
anche secondaria perché questa è una storia di esseri umani, di famiglie, di
corteggiamenti, di liti, è una grande saga familiare. L’economia c’è ma è come
se andasse sullo sfondo, come se tu la vedessi in filigrana attraverso un
filtro che è quello della saga familiare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">In verità, accecati da
questo sentimento antibancario, spesso non teniamo conto che a muovere le
banche è il desiderio di arricchimento facile della gente. Nessuno in fondo è
innocente e questo nel libro appare chiaro… <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questa tra l’altro è una cosa che c’è anche nella nostra letteratura,
di tanto in tanto compare in modo molto chiaro ad esempio pensiamo a Pinocchio
quando mette da parte i soldi e li dà al Gatto e la Volpe perché gli dicono:
dammi i soldi, te li sotterriamo nel Campo dei miracoli e domani mattina
troverai il doppio senza sudare, senza faticare, senza lavorare. La voglia di
arricchirsi senza lavorare è uno dei grandi miti che ci portiamo dietro e che
nasconde anche delle grosse fregature. Evidentemente sotto questo punto di
vista dobbiamo essere onesti nel dirci che purtroppo siamo tutti noi che
vorremmo arricchirci senza faticare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il libro, nonostante
il tema, è ricco di momenti esilaranti e spassosissimi. L’’uso a piene mani che
lei fa dell’ironia e che è senz’altro la cifra dominate del romanzo sembra
quasi un modo per ridimensionare la religione dei soldi dei Lehman, per creare
una sorta di straniamento nel lettore rispetto alle vicende narrate… Era questo
il suo intento?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La risata è un elemento fondamentale per me ed è
fondamentale anche che venga scritto perché io a volte ho come la sensazione
che le persone vedendo il mio libro, vedendo la mole, sentendo che tratta di
economia è come se si impaurissero. Invece io credo che sia un libro che fa
anche ridere, poi c’è un elemento di ironia ebraica molto forte, molto dichiarato.
Questa è una storia che nasce ebraica, l’elemento yiddish è molto forte, non a
caso i Lehman sono ebrei che vengono dalla Germania. Quindi quando racconti una
storia che viene da quelle origini lì è inevitabile la forte presenza
dell’ironia yiddish e quindi la presa in giro di sé stessi e degli altri. Il
riso è determinante, imprescindibile nella cultura ebraica. Probabilmente
sentendo che questa era una vicenda per molti aspetti vissuta dalla società che
avrebbe accolto il mio libro come argomento ostico ho sentito più che mai il
bisogno di alleggerirlo e di dare al pubblico un premio. Per cui tu stai
leggendo una storia che sicuramente ti può impressionare perché è lunga e articolata,
ma io cerco di raccontarla in un modo che ti appassioni, infatti nel libro
succedono una miriade di fatti, il mio non è un libro teorico, non è un saggio,
è fatto di accadimenti, racconta un’avventura che poi è quella della
contemporaneità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Può spiegarci meglio in
che modo è stato influenzato dall’ironia ebraica?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In tante altre culture, ad esempio in quella cattolica, ci
sono dei blocchi, delle cose delle quali non si può ridere. Anche nella nostra
cultura politica è così. Se tu vai a vedere i politici del dopoguerra
democristiani, comunisti e di destra, ti accorgi che il riso è completamente
bandito dal viso dei nostri politici perché nella tradizione anche di sinistra ridere
era considerato disdicevole. Per cui si devono aspettare decenni perché sul
viso dei nostri politici cominci a baluginare un sorriso. Ecco, nella cultura
ebraica, viceversa, tutto può essere oggetto di riso e di ironia e questo è un
elemento fortissimo e preponderante nella cultura ebraica e nella letteratura
ebraica come ad esempio in Kafka, un autore che ha avuto questa ironia anche tragica
per raccontare le cose. Tutto “La metamorfosi” di Kafka è basato su un assunto
profondamente ironico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">l libro è intriso di
cultura ebraica e Yiddish tanto che sembra scritto da un ebreo. Lei però non è
ebreo. Come ha fatto a raggiungere una conoscenza così approfondita e duttile
di questa cultura?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questo nasce dalla mia biografia. Quando ero molto piccolo
mio padre strinse un’amicizia fortissima con uno degli anziani della comunità
ebraica di Firenze dove vivo. La moglie di quest’uomo era la maestra nella
scuola elementare ebraica di Firenze ed io quindi ho avuto la possibilità per
un po’ di tempo di avere un doppio insegnamento, cioè sia la scuola normale
italiana, sia la scuola ebraica. E questo per me è stato fondamentale perché mi
ha aperto gli occhi su una cultura completamente diversa rispetto alla mia e su
un mondo che altrimenti non avrei mai conosciuto. In qualche modo sono
cresciuto con un piede su due staffe, in quanto mi ritengo sia occidentale, sia
privo di origini, o perlomeno aperto al mondo, come tutto l’ebraismo che grazie
alla diaspora è aperto a tutte le grandi forme di contaminazione dei popoli con
cui il popolo ebraico è entrato in rapporto. Quindi è un mondo aperto alle più
disparate provenienze e per me questo è stato fondamentale per togliermi una
tendenza a parlare di cose solo italiane. Nei miei testi fino ad ora non ho mai
parlato di cose italiane. E ci sarà una ragione. In qualche modo credo che oggi
tutti, nell’era di internet, siamo cittadini del mondo, è cambiato profondamente
il mondo rispetto a quindici anni fa nel senso che oggi con un battito di
ciglia posso chattare con qualcuno che è in Australia. Questa facilità non è
priva di conseguenze nel nostro modo anche di raccontare le storie. Pensi che i
Lehman verrà messo in scena da uno dei più grandi registi di Hollywood che è
Sam Mendes. Questa è una cosa incredibilmente bella per chiunque oggi provi a
scrivere. Questa storia di un gruppo di ebrei tedeschi diventati americani viene
raccontata da un italiano e viene messa in scena da un inglese. <span style="mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">È</span>
la dimostrazione che di fatto oggi non esistono più patenti di pertinenza
geografica, tutti quanti possiamo raccontare delle storie che semplicemente ci
riguardano, perché riguardano il mondo intero. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il protagonista principale
del libro è senz’altro il denaro. Tutto viene sacrificato in su nome. Eppure
nel passare da una generazione all’altra si nota una costante perdita di valori
morali e religiosi, uno scadimento umano sempre più evidente. Questo nel libro
vien ben messo in evidenza. Come mai ha voluto sottolineare questo fatto?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
È assolutamente così per cui questa è anche la storia di un
progressivo allontanamento dalle proprie radici. Sia il papa Ratzinger sia papa
Bergoglio hanno parlato più di una volta dei rischi enormi del relativismo
oggi. Ecco questo libro parla anche del fatto che oggi tutto è relativizzato
rispetto al passato, e quindi i riti che i primi Lehman si portano dietro
dall’Europa vengono progressivamente considerati sempre meno importanti fino a
scadere in una dimenticanza generale. Rimangono soltanto come dei ricordi sullo
sfondo. In realtà però è complicato. Per esempio Bobbie, che è l’ultimo dei
nostri Lehamn, si allontana da questi riti perché ormai, quando qualcuno dei
Lehman muore, non è più vantaggioso sospendere tutta la produzione della banca per
un certo numero di giorni come in passato, per cui viene detto che si fa un
minuto di silenzio, che si mette la bandiera a mezz’asta. Però la memoria di
queste lontane origini rimane perché Bobbie alla fine è ossessionato durante la
notte da incubi e sogni, che sono un altro elemento portante di questo libro,
nei quali spesso sogna i profeti della tradizione ebraica che da piccolo
studiava, però li sogna in un modo deformato e narrativamente lontano dal
quella che è la Bibbia. Sicuramente il tema delle radici è molto presente.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Questo scadimento si
può legare ad una degenerazione della società nella quale vivono i Lehman?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sì secondo me è legato all’aumento del senso denaro. Loro
finiscono per sostituire la religione delle origini con un’altra religione,
quella del capitalismo. Perdono i riti ebraici dell’inizio e li sostituiscono
con i riti del capitalismo più sfrenato e più micidiale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Questo si vede bene
nel ruolo che assume il tempio: esso finisce per diventare non un luogo di
culto, ma un luogo di potere…<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Esatto. Questa è la prova più inoppugnabile di quanto è
stato appena detto. Cioè il tempio viene vissuto come un luogo in cui la
posizione della famiglia all’interno dello schieramento dei membri del culto
viene vissuto come un simbolo di quanto la famiglia è potente. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Nonostante l’ironia
la visione che emerge nel libro dell’uomo e della società è cupissima. Sembra
che non vi sia alcuna via di salvezza e che tutti siano inchiodati al loro
destino. Nel romanzo alcuni Lehman, ad un certo punto, rinunciano a tutto e
scappano, ma non sembra esservi salvezza nella loro fuga. <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Io non sono in grado di dire che cosa ci sarà dopo la pagina
che stiamo vivendo. Ricordiamoci che il fallimento dei Lehman è stato tra le
cause che hanno portato all’esplosione di quella grande crisi nella quale siamo
tuttora. Per cui noi viviamo ancora oggi le conseguenze di quello che è
raccontato nel libro. La smaterializzazione dell’economia di cui parlavo prima
poi ha avuto come conseguenza ciò in cui ci dibattiamo adesso. Che cosa ci sarà
dopo non lo so. Sono arrivato a raccontare in questo libro un passaggio
fondamentale che è la ragione per cui ad un certo punto un capitalismo troppo
basato sull’apoteosi del denaro, e parlo del denaro fine a sé stesso, ha
cominciato a mostrare il fianco ed è poi clamorosamente venuto giù. Io non so
dire dopo questa dimostrazione di plateale debolezza, se vogliamo di
insostenibilità di questo tipo di sistema, che cosa potrà esserci, perché io
faccio lo scrittore, non l’economista o il politico. Nel libro ho raccontato lo
scenario che stiamo vivendo adesso e cerco di andare alla ricerca delle cause
che hanno portato al fallimento di un colosso come i Lehman ma lo faccio da
narratore, non come un saggista, un economista o un politico. Io racconto una
storia. Come l’umanità potrà ad un certo punto risollevarsi da una pagina come
quella del crollo del capitalismo di cui Lehman sono stati il simbolo più
evidente non lo so dire e non ne ho idea. Probabilmente non ne hanno idea
neppure gli economisti perché stiamo un po’ procedendo lungo la costa, quando
si naviga con una nave lungo la costa è perché non si tende a prendere il largo
per paura che la barca non resista alla tempesta. Ecco, ancora stiamo
procedendo lungo costa e quindi tutto ciò che la letteratura può fare è
interrogarsi sulle cause di questo. Io l’ho fatto in modo radicale perché per
andare ad interrogarmi sulle cause sono andato a scomodare Adamo ed Eva, nel
senso che ho costruito una storia che parte prima della metà dell’Ottocento.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">La crisi del 2008
però viene affrontata in poche pagine…<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questo l’ho fatto per una serie di ragioni. La più
importante è che i protagonisti del libro erano ormai usciti di scena perché
quando la banca va a morire non c’erano più i Lehman. Bobbie, l’ultimo Lehman,
muore nel 1969 senza eredi. Dal 1969 in poi non c’è stato più un Lehman
nell’amministrazione della banca, finiscono in mani ad altri e comincia il
definitivo crollo della banca. Però era già tutto scritto, nel senso che a quel
punto era chiaro che tutto ciò che si era manifestato prima esplode però non c’era
il bisogno di raccontarlo perché già era evidente il modo in cui era stato
costruito. Io racconto quella partita tremenda a squash, a ping pong, del greco
e dell’ungherese per il possesso della banca che non sono più evidentemente
Lehman e che rappresentano l’avvento di questa nuova generazione scriteriata di
persone che non avendo nel DNA la storia di quella banca non potevano portarla
avanti con la consapevolezza che i Lehman avevano dimostrato e che avevano
portato con sé. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">I personaggi del
libro sognano molto e i sogni hanno spesso un valore rivelatorio. Come mai ha
dato questa importanza al mondo onirico?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questo sarà molto più chiaro quando uscirà tra pochi mesi il
mio nuovo libro “L’interpretatore dei sogni” che mi ha occupato molti anni
parallelamente ai Lehman nel quale ho riscritto “L’interpretazione dei sogni”
di Sigmund Freud dal punto di vista romanzesco perché trovo che lì dentro ci
sia tutta la storia delle paure, delle fobie, degli incubi dell’uomo moderno.
Dovendo scrivere anche la storia dei Lehman non ho potuto non domandarmi che
cosa potessero sognare questi personaggi. Per me come autore è sempre
fondamentale farmi questa domanda: che cosa c’è di nascosto? In realtà i sogni
sono la nostra parte nascosta, tutto ciò che non osi dirti, sono le domande che
non osi porti, quindi per me è fondamentale chiedermi che cosa i personaggi non
vogliono dirsi e quindi di conseguenza che cosa sognano di notte. Ciò che non
vuoi dirti, inevitabilmente viene a visitarti quando chiudi gli occhi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">È vero che il libro
nasce prima oralmente dettandolo ad un registratore?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
È verissimo ma non solo questo libro ma tutte le cose che ho
scritto. Il libro è scritto in movimento, è scritto per strada, andando in
bicicletta, registrato e poi sbobinato. Ciò rende la parola in movimento
anch’essa, essendo figlia di un movimento fisico. Questo per me è un elemento
imprescindibile ed è dimostrato anche da come il libro è scritto e impaginato:
io trovo sempre che il ritmo sia essenziale. Questo non è un libro scritto in
versi, infatti non c’è alcuno stralcio di metrica. È scritto in quel modo
soltanto perché io pongo un’attenzione micidiale alla parola come elemento di
ritmo e quindi ho scritto questo testo proprio come una specie di grande
ballata ritmica dove le parole sono ognuna degna di importanza e di interesse. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il romanzo per molti
aspetti, dallo stile formulare alle ripetizioni all’uso dei versi, sembra un
poema epico aggiornato alla contemporaneità. Si ritrova in questa definizione?
In che modo è stato influenzato dall’epica classica?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Penso anch’io sia vicino all’epica. Molto spesso gioco in
modo ironico con l’epica. Gli eroi ci sono, anche se è antieroico il modo in
cui sono raccontati. C’è un modo di prendere in giro l’epica eroica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per quando riguarda il termine romanzo, dipende da che cosa
si intende: oggi le divisioni tra i generi sono sorpassate, sono saltate tutte.
Pensiamo al cinema. Nel cinema siamo addirittura arrivati al punto in cui un
documentario è entrato a pieno titolo tra il cinema non documentario tanto che
pochi anni fa, alla mostra del cinema di Venezia, il miglior film premiato è
stato un documentario, “Sacro Gra”.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Oppure quando uscì il libro “Gomorra”, ci fu un grande dibattito per
stabilire che cosa fosse. È un saggio o è un racconto? È un romanzo o un libro
di giornalismo? Io trovo che la forza straordinaria di quel libro e il
tentativo del mio sia proprio di non stare in nessun genere. Addirittura nel
mio libro è presente il fumetto. Ho ho voluto andare oltre ogni forma di genere,
perché i generi oggi sono completamente saltati. Basti pensare che le nuove
generazioni ascoltano la musica rap che in molti casi è scritta in metrica e in
rima. Che cosa vuol dire? Quella è poesia? No, non è poesia, è semplicemente
comunicazione. Oggi in una società in cui tutti scrivono, grazie anche ai
social, post, tweet è cambiato completamente e inevitabilmente il modo di
scrivere. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">La storia dei Lehman
è nata inizialmente come testo teatrale (“La trilogia dei Lehman”) o è nato
prima il romanzo? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Oltre alla struttura,
quali sono le principali differenze tra le due redazioni?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
“Lehman trilogy”, il testo teatrale, è la versione tratta da
questo libro. Non è venuto prima il testo teatrale e poi il libro. Il libro è
quello che io scrissi, poi siccome uno spettacolo teatrale non poteva durare
dodici ore ho dovuto ridurlo in una dimensione più controllabile. Il libro
viene prima anche se è uscito dopo. Nella versione teatrale mancano molti
personaggi, perché chiaramente un’opera teatrale deve fare i conti con il
pubblico, non puoi tenerlo dodici ore in teatro. Nella parte teatrale, per
ovvie ragioni, ho dovuto rinunciare ad alcune cose. È solo questa la
differenza. Il testo teatrale è meno della metà del romanzo. Dal punto di vista
quantitativo è completamente un’altra cosa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Stefano Massini </b>scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, è
consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano/Teatro d’Europa. È volto noto
televisivo per i suoi racconti nella trasmissione Piazzapulita su La7.
Collabora con «la Repubblica». È lo scrittore italiano più rappresentato sui
palcoscenici internazionali; ha vinto sette premi della critica tra Francia,
Italia, Germania e Spagna; i suoi testi sono stati tradotti in 15 lingue. Il
suo “Lehman Trilogy”, ultima regia teatrale di Luca Ronconi, è stato messo in
scena da Sam Mendes per il National Theatre di Londra. Tra i suoi ultimi libri “Qualcosa
sui Lehman” (2016), “L’interpretatore dei sogni” (2017), “Dizionario
inesistente” (2018) pubblicati da Mondadori; per il Mulino «Lavoro» (2016) e “55
giorni. L'Italia senza Moro. Volti, immagini, storie da un paese in bilico”
(2018).<o:p></o:p></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-41783809041801179982019-07-15T11:30:00.001+02:002019-07-15T11:30:26.910+02:00Milo De Angelis "Tutte le poesie 1969-2015" - "La parola data".<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://img.ibs.it/images/9788852060793_0_221_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="343" data-original-width="221" height="200" src="https://img.ibs.it/images/9788852060793_0_221_0_75.jpg" width="127" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Questa recensione riguardante due libri di Milo De Angelis, che considero uno dei maggiori poeti contemporanei, non solo italiani, è uscita sul Giornale di Vicenza il 31 dicembre 2017.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">di Fabio Giaretta</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">“Somiglianze”, il primo libro di Milo De Angelis, esce nel
1976. Il poeta milanese ha solo 25 anni ma quella raccolta colpisce subito per la
sua intensità e originalità, tanto da diventare un modello per le generazioni successive.
Sono passati circa quarant’anni da quel folgorante esordio e nel frattempo De
Angelis ha pubblicato altre sette raccolte, l’ultima “Incontri e agguati” nel
2015, che lo hanno reso uno dei protagonisti indiscussi della poesia
contemporanea. Ne sono testimonianza due libri che attraversano, in modo
diverso, il suo percorso poetico: il primo, intitolato “Tutte le poesie
1969-2015” (Mondadori, pagg. 442), comprende tutte le raccolte finora
pubblicate, più una sezione di inediti giovanili e un’autoriflessione sulla
poesia; il secondo, “La parola data. Interviste 2008-2016” (Mimesis, pagg.
176), raccoglie 17 interviste ed un dvd con un video dal titolo “Sulla punta di
una matita”, che permettono di capire meglio il suo pensiero e la sua
produzione poetica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcThevgIgLR7WXn5r5onCiC08M1umDAN2yAe7garKl7pXd7Q0Mt-" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcThevgIgLR7WXn5r5onCiC08M1umDAN2yAe7garKl7pXd7Q0Mt-" data-original-height="304" data-original-width="200" height="200" width="130" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Dalle interviste emerge l’immagine di un uomo il cui
rapporto con la poesia è sempre stato assoluto e totalizzante. Per lui la
poesia è una via privilegiata ed esclusiva per pensare il mondo. Non a caso De
Angelis afferma di non riuscire a concepire nulla che preceda la parola.
“L’immediato stesso è una parola”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Leggendo le varie raccolte, risulta evidente il ricorrere
ossessivo di pochi temi come la giovinezza, la morte, l’angoscia, l’amore, il
gesto atletico, il dialogo con le ombre, la città, che in genere coincide con
la periferia milanese, senza che questo faccia mai pensare ad una poesia
ripetitiva e monotona. De Angelis stesso si definisce un poeta di lago,
concentrico, che ritorna costantemente sugli stessi nuclei tematici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Quanto allo stile, si nota un’intima coerenza che attraversa
tutta la sua opera, anche se negli ultimi libri si fa strada una maggiore
apertura. Innanzitutto, leggere le poesie di De Angelis significa fare i conti
con una parola che proviene da luoghi sepolti e profondissimi e che per
giungere alla luce ha dovuto compiere un lungo cammino nel sangue, pieno di
ostacoli e sbarramenti; questo percorso così accidentato imprime una potenza e
una densità straordinarie ai suoi versi. La sua è sempre stata una scrittura intimamente
tragica, trafitta, lacerata, ellittica, che procede per strappi, per
fotogrammi, per frammenti legati tra loro da vertiginosi salti logici che non
sono però mai arbitrari. Nello stesso tempo colpisce il bisogno di esattezza e
di precisione che dà ai suoi versi un rigore allucinato ed insonne. Come scrive
Stefano Verdino nella postfazione alla raccolta di tutte le poesie, il grande
fascino dei suoi testi sta nella “sfasatura tra la nitidezza del dettaglio e
l’apertura visionaria”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Per molto tempo l’opera di De Angelis è stata collocata in
modo sbrigativo ed errato in una linea orfica o neo-orfica, soprattutto a causa
dell’oscurità di molti suoi versi. In realtà la sua poesia rifiuta qualsiasi
esoterismo e rimane sempre ancorata ad un irrinunciabile qui, ad un vissuto
sanguinante e concreto. Questo non significa che essa non abbia un altissimo
valore conoscitivo. Come dice lo stesso De Angelis, infatti, essa rappresenta una
forma di conoscenza legata allo svelamento, che consente al nostro sapere di
andare oltre sé stesso, “in quanto rivela qualcosa che già c’era prima di noi
ma che noi possiamo vedere solo attraverso una parola nuova, solo attraverso
l’invenzione della parola”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">M</span><span style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">ilo De Angelis</span><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> è nato nel 1951 a Milano, dove insegna in un carcere di massima sicurezza. Ha pubblicato </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Somiglianze</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1976); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Millimetri</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1983);</span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;"> Terra del viso</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1985); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Distante un padre</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1989); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Biografia sommaria</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1999); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Tema dell’addio</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (2005); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Quell’andarsene nel buio dei cortili</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (2010); </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Incontri e agguati</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (2015). Ha scritto il racconto </span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">La corsa dei mantelli</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;"> (1979, 2011) e un volume di saggi (</span><em style="background: rgb(255, 255, 255); border: 0px; box-sizing: border-box; color: #666666; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; text-align: start;">Poesia e destino</em><span style="background-color: white; color: #666666; text-align: start;">, 1982). Ha tradotto dal francese e dalle lingue classiche</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-18986683170199588542019-07-14T17:16:00.003+02:002019-07-15T11:34:01.681+02:00Una coraggiosa piccola casa editrice<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.viadelvento.it/images/libri/narraunsoldato.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.viadelvento.it/images/libri/narraunsoldato.jpg" data-original-height="344" data-original-width="255" height="200" width="148" /></a></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<a href="http://www.viadelvento.it/images/libri/il_ritorno(9x13).jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.viadelvento.it/images/libri/il_ritorno(9x13).jpg" data-original-height="372" data-original-width="269" height="200" width="144" /></a><span style="font-family: inherit;"></span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">L'articolo che segue è uscito sul Giornale di Vicenza del 29 giugno 2019 ed è dedicato alla coraggiosa piccola casa editrice "Via del Vento" diretta con entusiasmo e passione da Fabrizio Zollo. </span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">di Fabio Giaretta</span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<a href="http://www.viadelvento.it/images/libri/pescatori(9x11)alta_def..jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" src="http://www.viadelvento.it/images/libri/pescatori(9x11)alta_def..jpg" data-original-height="800" data-original-width="585" height="200" width="145" /></span></a><span style="font-family: inherit;">A Pistoia, a pochi passi dalla Basilica della Madonna dell'Umiltà, c’è una via dove il vento soffia sempre, anche nei
momenti più torridi dell’anno. Non a caso questa strada, che oggi porta il nome
di Via Vitoni, fino alla fine dell’Ottocento si chiamava Via del Vento. Qui hanno
vissuto e trascorso la loro giovinezza tre importanti scrittori pistoiesi come
Gianna Manzini, Piero Bigongiari e Sergio Civinini e qui, al numero civico 14, è
nata nel 1991, per iniziativa dell’artista e
appassionato di letteratura Fabrizio Zollo, la casa editrice Via del Vento. Il suo scopo è quello di pubblicare piccoli capolavori di narrativa e di
poesia, inediti e rari, di autori del Novecento, attraverso un rigoroso
e appassionato lavoro di selezione, ricerca
bibliografica, collazione dei testi, traduzione e analisi critica. La
proposta editoriale si articola in due collane, “I quaderni di Via del Vento” e
“Ocra gialla”. A queste vanno aggiunte “Acquamarina”, dedicata a liriche di
grandi poeti stranieri, e “Le streghe”, riservata a letterati e artisti
pistoiesi, cessate entrambe da alcuni anni.</span></div>
<span style="font-family: inherit;"><o:p></o:p></span><br />
<div class="Standard" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">«Parto
quasi sempre - ci ha raccontato Zollo - da un ventaglio di autori che sono di
mio personale interesse. Il punto fondamentale è capire se esistono testi
inediti di un determinato autore. Il processo di ricerca è molto lungo e
avviene attraverso il reperimento dell'opera omnia dello scrittore in questione
e la collazione di tutte le sue opere già uscite in Italia, per vedere se
esiste qualcosa che è “sfuggito” ai grandi editori». I volumetti finora pubblicati da questa
coraggiosa casa editrice, che mette al primo posto la qualità e non la
commerciabilità dei suoi piccoli libri, e che si è fatta conoscere anche a
livello nazionale, non solo negli ambienti letterari di nicchia, sono in tutto 228.
Tra questi vi sono moltissimi testi di straordinario valore, prima mai dati
alle stampe in Italia, come “Sedute spiritiche” di Thomas Mann, “L'incantatore”
di Joseph Roth, “Narra un soldato” di Robert Musil, “La corrente” di Ernest Hemingway,
“Le onde” di Louis-Ferdinand Celine. Tra i volumetti freschi di stampa (ne
escono sei ogni anno, tre per ciascuna delle due collane) troviamo “Il ritorno
e altre prose” dello scrittore americano Thomas Wolfe, recentemente riscoperto
grazie al film “Genius”, e “I pescatori di perle e due prose inedite” di Beppe
Salvia, notevole poeta italiano morto tragicamente a trent’anni nel 1985. Il
sito ufficiale è <a href="http://www.viadelvento.it/">www.viadelvento.it</a>. <o:p></o:p></span></div>
<br />Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-30603850597199813422019-07-14T14:17:00.000+02:002019-07-14T14:23:23.773+02:00Mai più sola nel bosco: Intervista a Simona Vinci<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Pubblico l'intervista integrale a Simona Vinci che ho fatto qualche mese fa in occasione del bel festival letterario "Parole a confine". Una versione un po' più breve è uscita ne "Il giornale di Vicenza" il 10 aprile 2019.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">di Fabio Giaretta</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;"><br /></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://www.einaudi.it/content/uploads/2017/09/978885842706HIG.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="517" height="320" src="https://www.einaudi.it/content/uploads/2017/09/978885842706HIG.JPG" width="204" /></span></a></div>
<div style="text-align: left;">
<a href="http://www.marsilioeditori.it//media/libri/2970015.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Quante sono le paure che
possono colpirci? Fare un catalogo esaustivo probabilmente è impossibile. Certo
è che la paura è un’emozione primaria fondamentale che ha aiutato in modo
decisivo l’essere umano ad evolversi. Essa però può anche trasformarsi in un demone
che ti mangia l’anima. Lo sa bene Simona Vinci che non a caso, nei suoi ultimi
tre libri, ha affrontato questo tema indagandolo con estrema lucidità. Infatti,
sia nell’intenso romanzo “La prima verità”, dedicato alla malattia psichica e
vincitore del Premio Campiello nel 2017, sia nei suoi due ultimi libri, “Parla,
mia paura”, (Einaudi, 2017), e “Mai più sola nel bosco”, (Marsilio, 2019), la
Vinci fa i conti con i mostri che abitano dentro e fuori di noi. In “Parla mia
paura” la scrittrice offre un disarmante resoconto sulla depressione, un male
oscuro che per anni l’ha divorata, mentre in “Mai più sola nel bosco” riflette
su sé stessa e sul mondo attraverso uno dei libri che l’ha segnata di più, le
fiabe dei fratelli Grimm.<o:p></o:p></span></span><br />
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/51cFVX4SJDL._SX328_BO1,204,203,200_.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="499" data-original-width="330" height="320" src="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/51cFVX4SJDL._SX328_BO1,204,203,200_.jpg" width="209" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Lei racconta che nella sua
prima infanzia non ha conosciuto la paura. Poi molti anni dopo essa si è presa
tutto lo spazio che poteva. Quali ragioni profonde l’hanno spinta a scrivere
“Parla, mia paura”? In che modo la parola, la scrittura, l’immaginazione
l’hanno salvata dal precipizio?<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">La parola, la scrittura, l’immaginazione sono uno spazio altro, ma molto
vicino, adiacente e anzi sovrapposto a quello “reale”, quotidiano, dove potersi
esercitare alla comprensione di sé e del mondo, una specie di palestra dello
spirito e del pensiero. Non certo vie di fuga. “Parla, mia paura” è nato da una
richiesta dell’editore, all’inizio, non ne ero affatto convinta, ho provato a
pensare come avrei potuto declinare delle esperienze personali non poi così
estreme e neanche lontanamente paradigmatiche e farne qualcosa che potesse in
qualche modo essere utile ad altre e altri, sono partita da me, per poi uscire
da me e guardarmi attorno per cercare di capire se questa ‘paura’, la mia, e
queste tante ‘paure’ di altri, che paralizzano il nostro tempo e ci
irrigidiscono su posizioni di chiusura, isolamento e spesso violenza, potesse
essere raccontata, compresa e come si potesse provare ad uscirne. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Uno dei capitoli più
toccanti e strazianti è quello che lei dedica alla sua maternità e alla nascita
di suo figlio. Cosa ha rappresentato questo evento per lei?<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Arrendermi all’inevitabile, confrontarmi ogni giorno, in ogni istante
con un altro che non sono io, che da me dipende e che alternativamente a me si
appoggia o da me si stacca, per trovare il suo equilibrio. Da una maternità non
si torna indietro, l’altro non è più qualcuno che puoi anche sfuggire, ti ci
devi confrontare per forza. Con i figli si impara la pazienza, il compromesso,
il farsi da parte per ascoltare le ragioni profonde di un altro essere umano
che non è detto ti somigli e neanche ti piaccia, pure se lo ami; tutte cose che
a volte, prima di questa assunzione di responsabilità totale, possiamo anche
trovare il modo di eludere. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Citando Pierre Levy,
scrive: “Rinuncia a tutto. Non avrai più paura di niente”. Perché questa frase
ha rappresentato per lei un punto di svolta?<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Perché smonta la paura. Ogni paura ‘astratta’ è una prigione della
mente, così come lo è ogni idea granitica su ciò che siamo, su ciò che sono gli
altri, su ciò in cui crediamo di credere e su cui ci incaponiamo: tutti
chiavistelli che chiudi tu stesso dal di dentro e che ti intrappolano. La vita
può cambiare da un momento all’altro indipendentemente da noi e questo è al
tempo stesso spaventoso e pacificante. Meglio imparare a usare la seconda
prospettiva.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Se volessimo fare un
parallelo tra i suoi due ultimi libri si potrebbe dire che il desiderio è il
motore che muove i personaggi di tutte le fiabe mentre la depressione è uno
stato di assenza del desiderio…<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Se pensiamo all’assenza di desideri della quale parla il Buddhismo, ci
viene da pensare che sia un bene, per lo spirito, non desiderare nulla, ma a
ragionarci è cosa bene diversa non provare attaccamenti troppo forti o
lasciarsi guidare dalla brama di ottenere qualcosa di materiale o immateriale e
non provare alcun desiderio. Il desiderio è vitalità, la capacità di godere del
bene che c’è e immaginare, fantasticare sul bene che verrà, e senza questa
vitalità, che è possibile coltivare anche nelle cose più piccole e apparentemente
futili, la vita può diventare insopportabile. Uno stato depressivo ti può
portare a non provare più alcun tipo di interesse per la vita. Non è un bel
vivere, anzi, non è proprio vivere. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Leggendo “Mai più sola nel
bosco” si percepisce un rapporto quasi simbiotico tra lei e le “Le fiabe” dei
Grimm, tanto che può usarlo anche per parlare della sua vita. Che cosa ha
rappresentato per lei questo testo, perché ci è così legata e come l’ha
influenzata?<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">È stato da subito un breviario per affrontare le paure e gli
interrogativi spaventosi che il mondo, le persone e gli eventi inevitabilmente
ti sottopongono. Una modalità, quella fiabesca, per leggere gli accadimenti e
dar loro un senso. Non so più dire se quella modalità mi apparteneva già, da
sempre, per indole e dunque per questo ho provato tanta attrazione per queste
fiabe, oppure viceversa se non siano state queste fiabe a modellarmi.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Queste fiabe oggi sono
considerate troppo cupe e ai bambini si preferisce leggere storie più
edulcorate. Se però non attraversiamo fino in fondo “il bosco oscuro delle
nostre paure” come possiamo crescere? <o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Non possiamo, è per questo che le fiabe continuano ad esercitare un
fascino potente sui bambini e anche su moltissimi adulti. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-weight: bold;">La sua visione della realtà
rimane costantemente aperta a quelle che sono le “cuciture segrete tra mondi
che da minime slabbrature fanno intravedere dimensioni altre”.</span></span> </b><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-weight: bold;">Da dove nasce questa sua forte propensione
verso l’oltre e l’invisibile?<o:p></o:p></span></span></b></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Non mi accontento delle spiegazioni facili, forse? Mi piace poter
immaginare molte soluzioni possibili alla stessa domanda. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit; font-weight: bold;">Il suo ultimo libro si
intitola “Mai più sola nel bosco”. Un chiaro riferimento a Cappuccetto Rosso ma
non solo. Fuor di metafora, chi o che cosa può accompagnarci nel bosco o come
lo dobbiamo attraversare per non sentirci più soli?<o:p></o:p></span></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="margin-left: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: #1b1615; font-family: inherit;"><span style="background: white; color: #1b1615; font-family: inherit;">Essere completamente soli è impossibile, c’è
sempre un altro, un altro/altra dai quali discendiamo, un altro/altra che
incontriamo o incontreremo, un altro o altra che ci ha parlato, sostenuto,
compreso e la cui voce resta dentro di noi per sempre, noi stessi non siamo
soltanto uno o una, siamo tanti, c’è la bambina spaventata ma c’è anche la
bambina ribelle e coraggiosa! E poi, anche nel bosco più oscuro e spaventoso,
ci sono creature, se non umane, animali e vegetali. Tutto è legato a tutto.
Persino i tempi passato, presente e futuro possono essere lo stesso tempo. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="margin-left: 18pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-59499572890385902962019-07-14T13:44:00.000+02:002019-07-14T13:44:47.240+02:00"L'esercizio ipsilon" di Stefano Strazzabosco<div align="left" class="MsoNormal">
<a href="https://www.ronzanieditore.it/typo3temp/pics/e5a254d124.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="479" height="320" src="https://www.ronzanieditore.it/typo3temp/pics/e5a254d124.jpeg" width="191" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Pubblico la recensione, un po' ampliata rispetto a quella uscita sul Giornale di Vicenza il 18 giugno 2019, alla raccolta "L'Esercizio Ipsilon" di Stefano Strazabosco.</span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">“L’esercizio ipsilon” (Ronzani
Editore, pagg. 36), la nuova silloge poetica di Stefano Strazzabosco, conferma in
modo evidente l’originalità e la piena maturità artistica del poeta vicentino.
Il dato di partenza è lo sdegno nei confronti di una realtà che appare sempre
più degradata, “cotta e poi / mangiata virtualmente aumentata”, e che l’autore
riesce a rendere con immagini vivide e concrete e nello stesso tempo allucinate
e visionarie. Emerge così un mondo in fluida metamorfosi, che ha rimosso
“l’emergenza / con una certa urgenza”, in cui ogni logica è sovvertita perché
un caos imbecille e assurdo ha travolto tutto. Quel niente plastificato e
mercificato che Strazzabosco denunciava nell’intenso “P - Planh per Pier Paolo
Pasolini” sembra avere obnubilato del tutto le coscienze, teste mozzate
continuano a guardare le vetrine rotolando, una “cenere bianca” ha coperto gli
occhi. Nel libro si apre una divaricazione tra una generica terza persona
plurale, totalmente omologata e alienata («Attendono istruzioni che
verranno / impartite per tempo. Qualche volta / l’orologio si ferma, sulle
sneaker / Hogan luccicano lustrini neri / e gli esuli pensieri / ritornano
all’ovile sculettando») e un “tu” a cui il poeta si rivolge fin dalla prima
poesia, invitandolo, in modo perentorio, a prendere una posizione, a
dissociarsi dalla corsa verso il vuoto: «Vogliono il baratro, galoppano /
cavalli e cavalieri. Tu, / cosa vuoi». In fondo, il misterioso esercizio ipsilon
del titolo potrebbe alludere ad un bivio (la parte superiore della “Y”, a
livello grafico, richiama una biforcazione) e la necessità inderogabile di una
scelta. Questa profonda carica civile ed etica convive con un amaro e risentito
disincanto che permea i venti testi che compongono la raccolta, ma più in
generale tutta l’opera del poeta, e che si manifesta soprattutto attraverso
l’uso insistito dell’ironia con valore demistificatorio. Ad esempio la
possibilità di un varco si riduce nella poesia “Se” a un “altrove fotoshoppato”.
Qui l’uso ironico dell’attributo trasforma, come nota con acume Paolo Lanaro
nella prefazione, la dimensione metafisica in un bluff filosofico. Ma l’ironia
è dispiegata a piene mani anche per corrodere i luoghi comuni e le frasi fatte,
scombinando la nostra percezione. Emblematici questi versi: «Si
crocifigga / l’animale mondo in uomovisione», invece di “si crocifigga
l’animale uomo in mondovisione”, che lanciano una critica al nostro funesto e
sciagurato antropocentrismo, che ha portato per lo più calamità e guasti. Questa
visione sconcertata sull’animale uomo appare ancora più evidente nella poesia
“Cenere bianca”: «Dormono tutti qui di notte e stanno / col fucile puntato
alla tempia dei cani. / Sulle remote nuvole si accendono / fuochi di
cartilagini, arresti, / certi morti. Qualche volta si toglie / la pelle
all’indiziato, / gli si cavano gli occhi. Si dorme / col pigiama di orsetti in
questa bella / città: quale linea / del bus ha coperto i tuoi occhi / della
cenere bianca, questa notte o l’altra». Qui dopo una serie di immagini di
violenza e ferocia si arriva al pigiama di orsetti che si indossa per andare a
dormire in questa bella città, rimarcando, in modo quasi grottesco, la natura
bipolare dell’essere umano.<o:p></o:p></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: inherit;">Ciò che rende ancora più suggestiva la poesia di Strazzabosco
è lo stile fortemente musicale, ricco di rime e di raffinate tessiture foniche,
che anziché stemperare la critica all’assurdità e alle incongruenze del nostro
tempo, ne accentua l’incisività.</span></div>
<span style="font-family: "calibri" , sans-serif;"><br /></span>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "calibri" , sans-serif;"><strong style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; font-family: "Open Sans", sans-serif; text-align: justify;">S</strong><span style="font-family: inherit;"><strong style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">tefano Strazzabosco</strong><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (Vicenza, 1964), dopo aver insegnato Lettere alle scuole superiori, ora vive tra la sua città natale e Città del Messico, dove lavora come professore di Letteratura italiana a contratto presso la UNAM (Universidad Nacional Autónoma de México), l'Istituto Italiano di Cultura e altre istituzioni. Ha pubblicato saggi, traduzioni, il monologo teatrale </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Tina</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;">. </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Masque su Tina Modotti</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2007 e 2016) e le raccolte di poesia </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; outline: none !important; text-align: justify;">Racconto</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (1995), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">D</em><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">ímmene tante</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2003), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Blister</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2009), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">66</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2013), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">P - Planh per Pier Paolo Pasolini</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (con fotografe di Graciela Iturbide e scritti di Michele Presutto e Juan Gelman, 2014), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">TT ZZZZZ - Cantos de las hormigas</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (con disegni di Francisco Soto, 2015), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Dimmi</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2015), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Poemas de bolsillo</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2016), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Estar</em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;"> (2016), </span><em style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #1b1b1b; text-align: justify;">Alba </em><span style="background-color: white; color: #1b1b1b; text-align: justify;">(con una prefazione di Marco Munaro, 2018).</span></span></span></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-63919611931316035392012-11-09T16:32:00.000+01:002019-07-16T17:28:49.302+02:00Recensione a "Il tempo è un dio breve" di Mariapia Veladiano<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
Dopo l'intervista fatta qualche tempo fa alla Veladiano, posto qui anche la recensione che ho scritto sul suo ultimo libro, che è uscita oggi sul<a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/430621_ildegarda_come_la_santabrucia_damoree_di_fede/"> Il giornale di Vicenza</a>.</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">di Fabio Giaretta</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://img.ibs.it/images/9788806212742_0_221_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="350" data-original-width="221" height="320" src="https://img.ibs.it/images/9788806212742_0_221_0_75.jpg" width="202" /></a></div>
<a href="http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcS0S21R4pXRbsoPwBtf2tgF-_mNTxOC9K-cL3lKvERX0EBO4ahUwRGqQJO1" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcS0S21R4pXRbsoPwBtf2tgF-_mNTxOC9K-cL3lKvERX0EBO4ahUwRGqQJO1" /></a><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Perché c’è il male? Da dove deriva? Come
possiamo combatterlo? Perché il dolore innocente? Perché Dio, spesso, sembra
così lontano, indifferente, barricato nel suo silenzio? La vita vale il male
che c’è? Ruota intorno a queste grandi domande, sulle quali l’uomo si è sempre
interrogato senza mai trovare una risposta definitiva, il secondo, intenso romanzo
di Mariapia Veladiano, “Il tempo è un dio breve” (Einaudi, 225 pagg., 17 euro),
appena uscito in libreria a quasi due anni da “La vita accanto”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Nel suo nuovo libro, che già a partire
dal titolo allude alla nostra precarietà e nello stesso tempo alla scintilla
divina che è in noi, la scrittrice vicentina, laureata in teologia e filosofia,
preside di un istituto comprensivo di Rovereto, ha il coraggio di interrogarsi,
senza pretendere di dare risposte, sul mistero di Dio e della vita. La
Veladiano conferma il suo talento e la sua maturità artistica, scrivendo
un’opera più ardua e rischiosa de “La vita accanto”, profondamente religiosa e imbevuta
di riferimenti teologici e biblici, ma mai dogmatica, cupa e inquieta, ma
sempre illuminata dalla luce della speranza, sostenuta da una scrittura
finemente cesellata, limpida e precisa, che con la sua raffinata musicalità sa creare
un armonioso e incantevole accordo tra prosa e poesia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Come nel suo fortunato romanzo
d’esordio, la protagonista è una figura femminile che racconta la storia della sua
vita in prima persona. Solo che qui si tratta di una donna matura, non più di
una ragazza terribilmente brutta. Il suo nome, Ildegarda, le è stato dato dalla
madre, una contadina esperta in erbe medicinali, in onore di Hildegard von
Bingen, la grande santa erborista del dodicesimo secolo. La vita di questa
santa e il contatto con i mali delle persone che venivano a cercare rimedi
naturali dalla madre la spingono a studiare teologia, “con la pretesa spavalda
di interrogare Dio sulle sue terribili responsabilità”. Ildegarda, che fa la
giornalista per una rivista cattolica, vive in un paese della piatta pianura
lombarda chiamato Villacadra, con il figlio Tommaso e il marito Pierre.
Quest’ultimo, però, porta dentro di sé un’inguaribile sofferenza e una cieca
sfiducia nei confronti della vita legate alla sua infanzia infelice e al
rapporto tormentato con la madre. La nascita del figlio, da lui non voluto, lo
fa sprofondare in una voragine senza ritorno che lo porta ad abbandonare la
famiglia. Dopo la fuga del marito, a Natale, la donna si rifugia a Campodalba,
in Alto Adige, a duemila metri, in un albergo sepolto dalla neve. In questo
luogo, dove il dialogo con il divino diventa più naturale, incontrerà un’altra
anima sofferente come lei, Dieter, un pastore luterano di Heidelberg, abbandonato
dalla moglie in seguito alla morte del loro figlio. Quest’uomo accompagnerà
Ildegarda nella sua inesausta ricerca di Dio e, con il suo amore, la aiuterà a
cercare un senso al male che minaccia lei e suo figlio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 1.0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Per quanto riguarda la trama del
libro è bene non svelare altro anche se, rispetto a “La vita accanto”, la
storia appare più rarefatta e i personaggi secondari più sfumati rispetto alla
protagonista. Alla Veladiano, più che le vicende esterne, interessano gli echi
interiori, i dubbi, le domande, che gli avvenimenti narrati suscitano nella
protagonista, una donna che dialoga costantemente con Dio e che nello stesso
tempo vede la sua fede messa alla prova dall’irrisolvibile problema del male e da
tutta la sofferenza, spesso innocente, che lacera la sua vita e il mondo in
generale. Ildegarda cerca incessantemente delle risposte ma alla fine deve
arrendersi alla verità del Qoèlet: “Tutte le cose sono in travaglio e nessuno
potrebbe spiegarne il motivo”. Questo però non significa cedere al nichilismo o
ad uno sconforto paralizzante. La fede, come le spiega Dieter, non è un sapere,
“è una promessa fatta da chi può promettere perché ha già mantenuto infinite
promesse. […] Non è vero che si crede e non si crede. Si crede e insieme non si
crede sempre. […] Prendiamo insieme il bene e il male. Non c’è segreto se non
quello di amare e affidarci a chi ci ama. Noi possiamo solo affidarci.” </span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">È</span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"> l’amore che risveglia la vita divina che dimora in noi, per
questo bisogna fuggire la paura, malattia dello spirito che è causa di tutti i
dolori, e consegnarci la vita l’un l’altro. Nonostante tutto, ci dice la
Veladiano, la vita vale il male che c’è, e ogni giorno va accolto come gli
ebrei fecero nel deserto con la manna - pane necessario e sicuro, ma che non
può essere conservato - consumandolo in gratitudine tutto intero.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><br /></span>
FRASI CHE MI HANNO COLPITO<br />
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Prendiamo insieme il bene e il male. Non c’è
segreto se non quello di amare e affidarci a chi ci ama. Noi possiamo solo
affidarci. E accogliere questa nostra vita restituita. È questa la fede”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“La fede è questo. Non è un sapere, è una
promessa fatta da chi può promettere perché ha già mantenuto infinite
promesse”. “Non è vero che si crede e non si crede. Si crede e insieme non si
crede sempre”. Si rimane, si abita nella fede, non si persevera”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;"> “La
paura è una malattia dello spirito. È il cuore di tutti i dolori: paura di
perder chi si ama, di morire, di soffrire. Non ha bisogno di sventure concrete
per alimentarsi, le bastano i fantasmi della nostra immaginazione”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“La paura ama la confusione che mescola le
cose importanti con quelle che non contano niente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Se si danno delle risposte sembrano tute
ridicole”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Insieme è niente la paura”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Forse è questa la risurrezione. Consegnarci
la vita l’un l’altro”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;"> “Tommaso è mio figlio. Per lui io sono qui. E’
la luce. La luce non può essere nascosta. Per questo io racconto. Per
condividere la luce”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“L’ordine è una forma d’amore. Tutto mi sembra
una forma d’amore. È l’amore che ci dà forma”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“A volte la fede è davvero solo questo,
tremenda illusione di credere”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Ma io ho conosciuto Dio. Le presenza e
l’assenza.”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Chi non crede in Dio forse non lo ha mai
incontrato in un amore abbastanza grande e rassicurante da suggerire qualcosa
dell’amore di Dio”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Fare il bene è il respiro normale della
vita”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Dio è nel soffio non nella bufera”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Il mondo è più grande del mio dolore”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Non si crede perché Dio risolve il problema
del male. E non si perde la fede perché si scopre che Dio non lo risolve”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;"> “L’amore
non finisce, la morte non è l’ultima parola”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Se la vita continua vuol dire che il bene
prevale. Risposta indecente perché non vede il dolore innocente. Certo, si era
voluto salvare Dio, la sua onnipotenza, perché se Dio è buono, il male è un
dramma senza senso. Ma non dovrebbe essere Dio a salvare noi?”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“È facile credere quando si è innamorati
perché qualcosa dell’eternità ci è già compagna”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“L’amore risveglia la vita divina che abita in
noi”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Tutte le madri generano Dio perché ogni
bambino è Dio, ogni bambino è la vita, questa è l’incarnazione, pensavo. E la
morte in croce vuol dire semplicemente che Dio non può nulla contro il male”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Dio non toglie il dolore perché non può, non
può, non può”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Ora che sapevo la sua verità, che non poteva
togliere il male dal mondo, mi sembrava facile questa intimità”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Come la manna della Bibbia, pane necessario,
sicuro. Ma che non può essere conservato. Ogni giorno ricevuto, come la vita,
ogni giorno la mattino trovata”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Solo se Dio non può salvarci dal male si
salva il suo amore”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“La teologia spesso è presunzione e ci
allontana dalla verità”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 150%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Si nasce, si muore in lui.”</span></div>
</div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-7258412502122877292012-10-13T22:51:00.001+02:002012-10-13T22:52:05.130+02:00<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nell'attesa che esca il nuovo libro di Mariapia Veladiano, pubblico la recensione che ho scritto sul suo romanzo d'esordio "La vita accanto" e pubblicato nel <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/222155_mariapia_veladianovita_nuova_allangolo/"> Giornale di Vicenza del 29 novembre 2011.</a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
di Fabio Giaretta<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6NzWDCXTLH7ZsGGuMPnQWHhbiYQwbNXJ1ilIjoXjPsBmDJ2DRXPQE4VLsecfRaSWs1R1c4prHedwuw_CXY82d7GlWaeEBqd_bHgmo5zKyy_DfKAhwiN1-JFq1W87f2MYr_Ua9IQ/s1600/la-vita-accanto1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6NzWDCXTLH7ZsGGuMPnQWHhbiYQwbNXJ1ilIjoXjPsBmDJ2DRXPQE4VLsecfRaSWs1R1c4prHedwuw_CXY82d7GlWaeEBqd_bHgmo5zKyy_DfKAhwiN1-JFq1W87f2MYr_Ua9IQ/s320/la-vita-accanto1.jpg" width="204" /></a>Fin dal suo primo respiro,
Rebecca è stata confinata ai margini del mondo. La sua colpa è quella di essere
nata brutta, terribilmente brutta. Creature come lei vivono in punta di piedi,
possono solo elemosinare briciole di vita ed essere grate di quel poco che, generosamente,
viene loro offerto. Come una monaca di clausura viene tenuta reclusa nell’antico
palazzo di famiglia, che si trova nel quartiere delle Barche, a Vicenza, affacciato
sul fiume Retrone. Rebecca però ha delle mani bellissime. Quando si posano sui
tasti del pianoforte, creano una musica dotata di un’incantevole grazia che
riesce a portarle un soffio di vita e a rendere più lieve il peso dei suoi
giorni. Rebecca è la protagonista de <i>La
vita accanto</i>, sorprendente romanzo d’esordio della
vicentina Mariapia Veladiano, cinquant’anni, residente a Bressanvido, laureata
in Filosofia e Teologia, insegnante di lettere all’Istituto Remondini di
Bassano e collaboratrice della rivista <i>Il
Regno</i>. Il libro, di cui sono stati già venduti i diritti inglesi, dopo aver
vinto il Premio Calvino 2010, prestigioso riconoscimento assegnato ai manoscritti
inediti, esce ora per Einaudi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<st1:personname productid="La Veladiano" w:st="on">La Veladiano</st1:personname> sceglie di
raccontare questa storia cupa, delicata e crudele allo stesso tempo, dal sapore
un po’ ottocentesco e dickensiano, attraverso la voce di Rebecca, servendosi di
uno stile nitido, raffinato e molto evocativo, capace di dare un fascino
misterioso e impalpabile alle vicende narrate che si dipanano dall’infanzia
fino all’adolescenza della protagonista.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Lo scenario nel quale Rebecca si
muove, spesso in modo clandestino, è la città di Vicenza. Una città bellissima,
ma «che ha l’anima nera come le acque del Retrone», spietata, ipocrita e
perbenista, votata al culto delle apparenze, che rende ancora più difficile
l’esistenza di una ragazza-mostro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Attorno a lei ruota un microcosmo
di personaggi tratteggiati dalla Veladiano con sottile sapienza narrativa. Un
efficacissimo uso di diversi registri linguistici e poche essenziali pennellate
le bastano per creare figure intense e originali, che palpitano come la vita
vera. C’è la madre, che dopo la nascita della figlia, ha dismesso i suoi vestiti
colorati e ha cominciato a vestirsi a lutto. Da quel momento la vita in lei si
è rinsecchita. La sua esistenza nasconde però dei segreti che giacciono celati
come i molti oggetti inghiottiti dal fango del Retrone. Il padre, invece, rinomato
ginecologo, è un uomo buono ma inadeguato alla vita, incapace di prendersi cura
della moglie e della figlia. La zia Erminia, sorella gemella del padre di
Rebecca, è una donna bellissima, posseduta da una vitalità inquieta, e consumata
da un amore segreto e irrealizzabile. Sarà lei che farà scoprire alla nipote la
magia della musica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’unica amica che mitiga la
solitudine di Rebecca è Lucilla, una ragazza grassoccia e incontenibile, che
esprime il suo bisogno di esistere comunicando tutto a tutti, facendo uscire
dalla sua bocca inarrestabili fiumi di parole. Chi si prende davvero cura della
protagonista è la fantesca Maddalena, che con la sua schietta genuinità si
sottrae ai malefici miasmi che la circondano. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ci sono infine la protettiva
maestra Albertina, il generoso e mite maestro di pianoforte Aliberto De Lellis e
sua madre, la misteriosa e affascinante Gabriella De Lellis. Un tempo famosa
concertista, ora passa le sue giornate suonando nella sua villa, che si trova lungo
la strada che porta a Monte Berico, e inseguendo i ricordi che, apparentemente,
sembrano tarlati dal morbo di Pick. Grazie a lei, la protagonista potrà
rimpossessarsi delle memorie mancate del suo passato, in particolare di quelle
della madre, e aprirsi ad un futuro che, per quanto incerto e fragile, lascia
intravedere una presenza più piena, seppur sempre celata, nel mondo. Perché,
come spiega Gabriella De Lellis a Rebecca, «se c’è una cosa giusta in quello
che il vangelo dice, è che c’è una vita nuova dietro ad ogni angolo».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-9039412045944657792012-10-13T20:48:00.001+02:002012-10-13T20:49:19.408+02:00Intervista a Mariapia Veladiano sul nuovo romanzo "Il tempo è un dio breve"<br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Pubblico l'intervista che ho fatto a Mariapia Veladiano in occasione dell'uscita del nuovo romanzo "Il tempo è un dio breve" e uscita sul <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/419717_travolta_dal_successo_torno_con_un_dio_breve/">"Giornale di Vicenza" dell'11 ottobre.</a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
Di Fabio Giaretta</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQO1fQiOPk-ily-JPOxax4QrpDKzUM95Lr9DEnO6cW7BS4h4O2TTYzZYQEk6Py58Nzlv6gBXDc1rGDsrIaxtQ7m9LmT3AfpvxC0hyphenhyphenvlJjh3ouU0cCJo3bZ1BFb7MkcKd-o0eCBaw/s1600/mariapia-veladiano.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="239" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQO1fQiOPk-ily-JPOxax4QrpDKzUM95Lr9DEnO6cW7BS4h4O2TTYzZYQEk6Py58Nzlv6gBXDc1rGDsrIaxtQ7m9LmT3AfpvxC0hyphenhyphenvlJjh3ouU0cCJo3bZ1BFb7MkcKd-o0eCBaw/s320/mariapia-veladiano.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Nonostante si
sia affacciata tardi sulla scena letteraria italiana, Mariapia Veladiano ha
subito lasciato il segno. "La vita accanto",
romanzo d’esordio della scrittrice vicentina, classe 1960, laureata in
filosofia e teologia, <span style="color: #222222;">preside di un Istituto
Comprensivo di Rovereto, </span>è stato infatti un vero e proprio caso
editoriale. Vincitore del Premio Calvino 2010 e del Premio Cortina d’Ampezzo
2011, secondo al Premio Strega 2011. Circa 75000 copie vendute. Otto ristampe,
una nuova edizione all’interno della collana “Numeri primi” dell’Einaudi che
comprende i libri più venduti e amati. Tradotto in inglese, francese, spagnolo
e coreano. I diritti cinematografici acquistati da un grande regista come Marco
Bellocchio. Comprensibile che, dopo un’opera prima di così grande successo, ci
sia molta attesa e curiosità per il suo secondo libro, <i>Il tempo è un dio breve</i>, che uscirà il 23 ottobre, a quasi due anni
dal precedente, sempre per Einaudi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">“<i>Il
tempo è un dio breve</i> - ci ha raccontato in anteprima la scrittrice - parla di una donna giovane, teologa, di nome
Ildegarda, che viene lasciata dal marito. Ha un bambino piccolo e si interroga
sul male che colpisce questo bambino, nella forma del dolore per l’abbandono
del padre, di una malattia che lo minaccia. Dialoga con Dio ininterrottamente e
lo chiama alle sue responsabilità. E insieme sente che in gioco c’è quel che
crediamo, chi siamo noi, ciò in cui speriamo. Ci sarà un incontro importante
nella sua vita. Qualcuno che la può accompagnare in questa ricerca”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">È vero che ha
cominciato a scrivere il suo nuovo romanzo in contemporanea con “La vita
accanto”, circa 12 anni fa? Come mai i suoi libri hanno una gestazione così
lunga?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Sì. Cominciato nel 2000, finita la prima
stesura nel 2005. Poi lasciato lì, finché scrivevo “La vita accanto”. Poi
ripreso e riscritto tante e tante volte. Non aver fretta di pubblicare permette
di prendere le distanze da quel che si scrive e di vederne un po’ meglio le
cadute, i difetti. In realtà comunque la ragione principale per cui ho bisogno
di tanto tempo per scrivere è che cerco il suono delle parole. Le prime
narrazioni a noi arrivano prima di aver imparato a leggere, attraverso la voce
di una mamma, un nonno. Mi sembra che una narrazione sia fatta di storia e
suono e il suono delle parole deve essere un sottofondo che accompagna la
storia e mai le parole devono far, come dire, inciampare la lettura. Per cui si
legge e rilegge e si cambiano le parole finché questo suono ci sembra
abbastanza armonioso. Poi non si è mai contenti, ma ci provo, ecco.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Ci sono delle
continuità tematiche rispetto a “La vita accanto”?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Certo che sì. È l’interrogarsi sul male
del mondo e sul nostro poterlo combattere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Qual è il senso
di questo titolo così suggestivo?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Il romanzo è nato con questo titolo e
del resto tutti i miei scritti nascono con il titolo già scritto. Quando
lavoravo per <i>La voce dei Berici</i> mi
prendevano in giro perché avevo per gli articoli la “cartella dei titoli”.
Titoli che mi sembravano interessanti e che mettevo da parte per articoli che
non avevo ancora immaginato di scrivere. “Il tempo è un dio breve” dice che la
nostra vita è breve, comunque breve anche se arriviamo a cento anni, ma è nello
stesso tempo il nostro essere Dio. Il divino che abbiamo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Sarà ambientato
sempre a Vicenza o questa volta ha cambiato luoghi e ambienti? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">No, è ambientato in parte nella campagna
lombarda e in parte nelle splendide montagne dell’Alto Adige. Un luogo di neve
e di incanti, dove il dialogo con il divino è quasi naturale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">La protagonista
è una teologa come lei. Sarà un romanzo più autobiografico del precedente? Che
peso ha la teologia in questo libro e in che modo l’ha usata?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Il precedente era tremendamente
autobiografico. Completamente, nei sentimenti e nelle emozioni raccontate. La
storia no, anche se si parlava di Vicenza, dove io ho vissuto. Questo lo è meno, perché non c’è Vicenza,
perché ha una voluta dimensione di irrealtà, più dell’altro. Certo che poi si
incontrano situazioni comuni, in cui un po’ ci si ritrova in tanti: un marito,
un figlio, un chiedersi cosa sia la vita, la fede, il male. Ma credo che se uno
scrittore vuol fare un libro autobiografico sia tenuto a dichiararlo con
chiarezza e a chiamarlo “autobiografia”, oppure “storia della mia famiglia”,
per dire. Forse poi è vero che è la nostra vita, il nostro sentire a filtrare
la narrazione e i personaggi. Autobiografia dei sentimenti, certo. Ma le storie
no. La teologia entra nel libro nella dimensione di un interrogare che non può
fermarsi. Un rapporto con Dio che c’è, lo si sente come si sente che c’è un
amore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Ne “La vita
accanto” uno degli elementi che colpiva era il suo stile: sorvegliatissimo,
raffinato, preciso e nello stesso tempo molto evocativo. Lo stile che ha usato
nel nuovo libro è lo stesso o è cambiato qualcosa?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Lo diranno i lettori questo. Io ho
cercato in ogni modo una scrittura sorvegliata. È la mia piccola lotta, quella
che sempre conducevo anche a scuola, contro la sciatteria del linguaggio che
minaccia la nostra possibilità di raccontarci e di capire. E devasta la
bellezza del narrare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Com’è cambiata
la sua vita dopo l’uscita de “La vita accanto”?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Un uragano. È arrivato un uragano.
Tantissime relazioni, restituzioni di lettori sotto la forma di lettere, mail,
incontri diretti nelle librerie e nei gruppi di lettura. Nelle biblioteche. Ho
conosciuto un mondo straordinario di persone che leggono e che alimentano
l’amore per la riflessione, per il pensare le cose della vita. È una società buona e spesso nascosta, che
porta i libri nelle scuole e fra le persone.
È stata una gran bella avventura. Si può davvero restare travolti. Mi ha
salvato credo il mio lavoro, bellissimo, la scuola, e anche l’età. Un po’ di equilibrio l’età ce lo
regala.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Nonostante la
scrittura sia sempre stata una sua inseparabile compagna, lei ha pubblicato il
suo primo libro a 50 anni. Come mai ha aspettato tanto? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Sì, ho scritto
tanto e sempre. Un po’ di tutto: racconti, romanzi, molti diari di
viaggio. Non ho mai avuto il desiderio
di pubblicare i lavori di narrativa. Avevo la mia “scrittura di servizio”, così
ho sempre chiamato la collaborazione con <i>Il
Regno</i>. Articoli su chiesa e ambiente, chiesa ed economia, etica e ambiente.
Di confine, sempre di confine. Un cercare quel che ci unisce, credenti e non
credenti. La comune umanità. Ma i racconti, i romanzi li ho sempre considerati
un’espressione personale, mia, scrittura privata. Poi in un certo momento ho
sentito un desiderio di ascolto. E ho mandato il manoscritto di un romanzo al
Premio Calvino. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraph" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Lei ha insegnato
italiano per molti anni e ora è diventata preside in un istituto comprensivo di
Rovereto. La sua professione si riflette in qualche modo nei suoi romanzi? <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 4cm 0.0001pt 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Certo lavorare
nella scuola e con i ragazzi è un privilegio immenso. Vuol dire entrare in
relazione ogni giorno con un mondo di emozioni e di desideri e di sogni ancora
completamente realizzabili, percepiti come possibili. E lo sono. Ai ragazzi e
anche ai bambini dico sempre che l’ora successiva, il pomeriggio che li aspetta
non è ancora stato vissuto. Possono viverlo in modo pieno, oppure no,
sprecarlo, far del bene, buttarlo. Questa meraviglia di possibilità la scuola
deve preservarla e deve dare ai ragazzi gli strumenti per poter costruire ciò
che sono. Nei romanzi entra questo mondo di emozioni. Anche tante paure, tante
ferite. Ma gli adulti ci sono. Ci siamo e possiamo riparare. La scuola è questo
luogo della convivenza possibile, della riparazione, scuola di presente e di
futuro. Un tesoro. Guai dissiparlo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-58929811262807756552012-03-07T21:27:00.001+01:002019-07-16T17:32:00.571+02:00"Cose che nessuno sa" di Alessandro D'Avenia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/51VjxDBAwxL._SX324_BO1,204,203,200_.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="499" data-original-width="326" height="320" src="https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/51VjxDBAwxL._SX324_BO1,204,203,200_.jpg" width="209" /></a></div>
<b>Avvertenza</b>: pur trattandosi di un
libro che definire prevedibile è fin troppo generoso, nella seguente recensione
vengono rivelati vari elementi della trama. Chi volesse gustarsi i sensazionali
colpi di scena contenuti nel romanzo, si legga prima il nuovo libro di
D’Avenia e poi, questa recensione.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Premessa:</b> Non fosse per i miei
alunni, che lo adorano, non avrei mai letto il secondo romanzo di Alessandro
D’Avenia, <i>Cose che nessuno sa</i>. A loro
D’Avenia piace moltissimo e, da un certo punto di vista, posso capirli. I due
romanzi finora scritti dal giovane scrittore siciliano mettono in campo tutta
una serie di trucchetti e di colpi bassi ai quali un adolescente difficilmente
può resistere. Non potendo inserire le opere di D’Avenia nell’indice dei libri
proibiti, anche se, lo confesso, se ne esistesse ancora uno, mi piacerebbe
molto farlo, non mi resta che rassegnarmi al fatto che è meglio che leggano con
passione “Bianca come il latte, rossa come il sangue” e “Cose che nessuno sa”
piuttosto che non leggano affatto. In un secondo momento, dopo un percorso di
lettura via via più impegnativo, si può, forse, ragionare con loro sui limiti
di queste opere sviluppando in loro un maggiore senso critico. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il nuovo libro di Alessandro
D’Avenia, <i>Cose che nessuno sa</i>, è come
una bolla di sapone: iridescente e cangiante in superficie, completamente vuoto
dentro. Se <i>Bianca come latte, rossa come
il sangue</i>, primo fortunato romanzo dello scrittore e insegnante siciliano
(nato a Palermo nel 1977), poteva anche avere una sua, per quanto fioca,
ragione d’essere, la sua nuova fatica lascia decisamente perplessi. La trama,
che ripropone molti elementi di <i>Bianca
come il latte, rossa come il sangue</i>, risulta assolutamente prevedibile e scontata.
La protagonista, Margherita, è una giovane adolescente alle prese con il primo
anno delle superiori. Improvvisamente, il padre abbandona la famiglia, facendo
cadere in una crisi profonda la giovane ragazza. L’unica che riesce ad
alleviare in parte la sua pena è la nonna Teresa, una figura patetica, ai
limiti della caricatura, continuamente intenta a cucinare, a sciorinare
illuminanti massime sulla vita in siciliano e a ricordare il marito morto e il
loro straordinario amore. Altra figura insopportabile è quella del giovane
professore di lettere, una sorta di fotocopia del sognatore del primo romanzo,
portata qui al parossismo. Immaturo sentimentalmente, si rifugia dietro i suoi
libri per non affrontare la vita e la sua paura di crescere, che in questo caso
si manifesta nell’incapacità di fare un salto di qualità nella relazione con
Stella, la donna di cui è innamorato. Sarà proprio lui, grazie alle sue
travolgenti e palpitanti lezioni sull’Odissea, e in particolare grazie al
racconto del viaggio intrapreso da Telemaco alla ricerca del padre Ulisse, a
suggerire a Margherita l’idea di partire alla ricerca del padre. La
accompagnerà Giulio, un ragazzo senza genitori, bello e dannato, capace però di
redimersi grazie alla forza dell’amore. Il viaggio finirà in un tragico
incidente, in seguito al quale Margherita entrerà in coma. Al suo capezzale, il
padre e la madre si ritroveranno nuovamente uniti e innamorati. Inutile dire
che Margherita si risveglierà e che la sua relazione con Giulio continuerà. Il
professore, dal canto suo, troverà la forza di affrontare i suoi blocchi e
sposerà Stella. Insomma, della serie “e vissero tutti felici e contenti”. A
parte il povero lettore. Che si deve sorbire una storia ruffiana e banale,
raccontata con uno stile lezioso, fortemente emotivo, che vorrebbe essere
lirico e poetico e che invece risulta irritante e ridicolo. Il buonismo
dolciastro e fasullo di questo libro non ha nulla di catartico e non
rappresenta, come forse vorrebbe il suo autore, un elogio alla bellezza della
vita, bensì uno sfregio alla stratificata e ruvida complessità dell’esistenza.</div>
Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-14323171651031409592011-12-08T22:09:00.001+01:002011-12-08T22:36:45.765+01:00Intervista a Marco Mancassola sul libro "Non saremo confusi per sempre"<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;">(Il cappello introduttivo di questa intervista è uscito s<a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/301239__e_la_scrittura_trasfigura_le_vittime_della_nera/">ul Giornale di Vicenza del 28 ottobre 2011</a>. L'intervista vera e propria, invece, non è mai stata pubblicata). </span></strong></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;"><br /></span></strong></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;">di Fabio Giaretta</span></strong></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;"><br /></span></strong></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8nizpag3FBfXnHdxHBUAIIQVdu6nbgvN6EozEtJ0A6eUEhD2G7ESw_fnDqx9WIWPKczgpU2JTZfeGEZfNfZJ9dNEbjWYf8Rl1dAnow3LHCHLQDjlTVUQIdK4qWHM4zhCZrGvPCg/s1600/Copertina+Non+saremo+confusi+sempre.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8nizpag3FBfXnHdxHBUAIIQVdu6nbgvN6EozEtJ0A6eUEhD2G7ESw_fnDqx9WIWPKczgpU2JTZfeGEZfNfZJ9dNEbjWYf8Rl1dAnow3LHCHLQDjlTVUQIdK4qWHM4zhCZrGvPCg/s320/Copertina+Non+saremo+confusi+sempre.jpg" width="204" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;">Erano giovani. Avevano ancora tutta la vita davanti
a loro. Tutta una vita da immaginare. Poi, all’improvviso, la morte. Una morte
tragica e crudele. I loro nomi sono scolpiti nella memoria collettiva di questo
Paese. Dirk Hamer, 19 anni, ferito a morte nell’isola di Cavallo, in Corsica,
nel 1978, da una scheggia di proiettile che trapassò lo scafo della barca nella
quale dormiva. Il colpo era partito dal principe </span></strong>Vittorio
Emanuele di Savoia. Alfredo Rampi, 6 anni, caduto in un pozzo artesiano nel <st1:metricconverter productid="1981, a" w:st="on">1981, a</st1:metricconverter> Vermicino. Eluana
Englaro, entrata in coma nel <st1:metricconverter productid="1992, a" w:st="on">1992,
a</st1:metricconverter> 21 anni, in seguito ad un incidente stradale. Resterà
in uno stato vegetativo per 17 anni, fino a quando, nel 2009, il padre non
riuscirà a far interrompere l’alimentazione forzata.<strong><span style="font-weight: normal;"> Giuseppe Di Matteo, rapito nel <st1:metricconverter productid="1993, a" w:st="on">1993, a</st1:metricconverter> 12 anni, da un gruppo di mafiosi,
ucciso e disciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. Federico
Aldrovandi, morto a Ferrara nel <st1:metricconverter productid="2005, a" w:st="on">2005, a</st1:metricconverter> 18 anni, in seguito
alle percosse ricevute da quattro agenti di polizia. <o:p></o:p></span></strong></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<strong><span style="font-weight: normal;">Parte da qui Marco Mancassola, da questi famosissimi
episodi di cronaca, per costruire i cinque racconti che formano il suo nuovo
libro, <i>Non saremo confusi per sempre </i>(Einaudi,
143 pagg., 16 euro). Questi fatti però, seppur ricostruiti con precisione, vengono
nello stesso tempo trasfigurati grazie al potentissimo strumento dell’immaginazione.
In questo modo la letteratura assume un valore catartico. Essa, infatti, pur
non eliminando il lato perturbante presente in ogni storia, riesce a creare per
queste giovani vittime un altrove rasserenante che permette loro di continuare a
vivere. Alfredino, ad esempio, nel racconto <i>Un
bambino al centro della terra</i>, non muore nel profondo del pozzo, anzi,
questo è solo l’inizio di una meravigliosa avventura che lo porterà ad
intraprendere un viaggio alla scoperta delle viscere della terra</span></strong>.
O ancora, Giuseppe di Matteo, nel racconto <i>Un
cavaliere bianco</i>, viene trasformato da Silvia, una sua compagna di classe
delle elementari, ossessionata dal suo ricordo, in un supereroe capace di
proteggerla e difenderla. E di inoltrarsi, con il suo cavallo bianco, “nella
straziante libertà del cielo”. Una libertà che, grazie alla forza rigenerante e lenitiva dell’arte,
Mancassola restituisce, quasi come forma di risarcimento, ai protagonisti del
libro.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Abbiamo rivolto a Marco Mancassola le seguenti domande su <i>Non saremo confusi per sempre</i>, libro <strong><span style="font-weight: normal;">vincitore del Premio Carlo Cocito e </span></strong><strong><span style="font-weight: normal;">del Premio Fiesole, che lo scrittore, nato a Lonigo nel 1973,
ha di recente presentato alla Libreria Do Rode di Vicenza.</span></strong></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<b>Innanzitutto
può raccontarci in che modo è nata l’idea di questo libro?</b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Avevo bisogno e desiderio di tornare a narrare atmosfere italiane,
dopo l'excursus “americano” della <i>Vita erotica dei superuomini</i>. E da
narratore volevo confrontarmi con ciò che più di tutto costituisce la nostra
narrazione nazionale condivisa: le storie di cronaca. Non era un tentativo,
come ha scritto qualche critico banalizzando, di raccontare l'Italia
berlusconiana. Mi interessavano alcune singole storie, nemmeno tanto recenti,
che hanno inciso sull'inconscio nazionale. E mi interessava provare a
riaffermare, in un'epoca in cui del ruolo della letteratura non importa in
pratica più a nessuno, il primato dell'immaginazione letteraria. Anche sulla
vita, e soprattutto sulla cronaca.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
“<b>Non saremo
confusi per sempre”, frase che il fantasma Gustav ripete varie volte nel
racconto <i>Un ragazzo fantasma</i>, è anche
il titolo del libro. Come mai ha scelto questo titolo? Quale vuole essere il
suo significato?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
La cronaca relega le <i>vittime</i> in un ruolo chiuso, stereotipato,
fissato per sempre. E relega noi a un ruolo di spettatori altrettanto chiuso. È
solo un esempio di un mondo che ci stringe intorno sempre più asfissiante,
immobilizzante, simile a un limbo o a una sabbia mobile. La confusione cui
allude il titolo è quella che viene dalla domanda delle domande: dove andiamo
adesso? Come facciamo un passo avanti? Il libro non offre risposte ma si limita
a ricordare che essere umani significa essere in transito, processi in
divenire, diretti sempre necessariamente verso un altro mondo possibile – sia
esso metaforico, spirituale, politico. Soltanto ricordandoci questo possiamo
avere fede che sì, chissà, un giorno non saremo più tanto confusi.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Nel libro
vengono ripresi cinque fatti di cronaca molto noti. Per quali ragioni si è
soffermato proprio su questi episodi e non su altri?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Sono fatti che mi hanno sempre molto colpito. E che si prestavano più
di altri a essere riletti, “arricchiti” di una parte immaginaria.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>I cinque
fatti di cronaca sono stati ricostruiti con fedeltà ma nello stesso sono stati
rielaborati attraverso l’immaginazione. In questo modo, delle storie che tutti
conoscevamo, almeno per sentito dire, si sono trasformate in delle fiabe
crudeli e nello stesso tempo delicatissime. Perché ha scelto di immergere
questi racconti in una dimensione fantastica e fiabesca? <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
L'elemento fiabesco è stato un altro parametro che mi ha fatto
scegliere certe storie piuttosto di altre. Uno pensa a Hamer e al principe di
Savoia e ci vede subito il principe, classica figura fiabesca, che però in
questo caso è il farabutto della situazione. Pensa al caso Englaro e ci vede
inevitabilmente una bella addormentata, che però non aspetta il risveglio ma di
andarsene via. La fiaba nel libro è un rimando, una suggestione usata a volte
per contrasto. Poi, un paio di racconti sfociano apertamente nel fantastico,
altri restano più verosimili: tanto che spesso i lettori, così mi dicono,
faticano a distinguere la ricostruzione della realtà dalla parte inventata.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Ogni
storia ridisegna per i cinque protagonisti un destino diverso. La morte per
loro non rappresenta la fine, ma l’inizio di un nuovo viaggio. Attraverso la
letteratura sembra che lei abbia voluto dare una seconda possibilità a queste
vite spezzate troppo precocemente...</b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Forse è così. Dopo aver letto il racconto su Vermicino, un amico mi ha
scritto un messaggio: “Hai dato una carezza a quel bambino”. Sì, in parte
speravo di riuscire a farlo. Al tempo stesso non sono così presuntuoso da
pensare che quelle vittime, o meglio la loro memoria, abbiano bisogno del mio
libro. Chi ha bisogno di una “seconda possibilità” siamo noi, quelli che
restano, gli spettatori, uomini e donne iperinformati, iperconnessi eppure
perdutamente soli. In questo senso credo che riesca a essere un libro “caldo”.
Che rievoca storie dure e che pure sfocia in una specie di sollievo.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Da un
punto di vista della scrittura, lei ha scelto uno stile molto sobrio e
delicato, con momenti di struggente dolcezza. Ha seguito questa via per
allontanarsi dalle narrazioni urlate ed effettistiche dei giornali?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Ho usato una sorta di “minimalismo visionario”. Non ho lasciato spazio
alla vanità stilistica, seppure credo che ci sia una voce riconoscibile. Tutto
il libro mi ha posto il problema del rispetto dovuto a delle storie vere, e
tale rispetto passava anche attraverso l'uso di uno stile pacato</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<b>Tutti i
protagonisti dei racconti, sia quelli realmente esistiti, sia quelli inventati,
sono per lo più ragazzi e ragazze giovani che si trovano a fare i conti con una
dolorosa maturazione interiore. E’ un caso o è stata una scelta voluta?</b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Alla fine, vero, ogni storia somiglia a un piccolo romanzo di
formazione. Questo è soprattutto evidente nella storia ispirata al bambino
sciolto nell'acido dalla mafia: la storia di formazione riguarda Silvia, la sua
compagna di classe, che seguiamo nella sua difficile crescita fino a quando,
ventunenne, diventa infine una donna indipendente, serena, davvero libera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Nello
scrivere questi racconti e nel riprendere, sia pure in chiave fiabesca, dei
fatti di cronaca così noti, non ha avuto, almeno per un attimo, paura delle
possibili reazioni dei parenti delle vittime? A questo proposito, ha avuto
qualche contatto con qualcuno di loro prima o dopo l’uscita del libro?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Sì, ho avuto il pensiero. E sì, ho avuto qualche contatto.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>In “Un
bambino al centro della terra” lei scrive: “scegli un punto qualunque della
storia di questo paese e dimmi se non ci trovi incredibili sventure”. Da questa
frase e da molti altri elementi disseminati nel suo libro emerge una visione
molto cupa dell’Italia. Si direbbe che il suo rapporto con l’Italia sia molto
sofferto e contrastato. E’ così? Come mai?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Tento di non fare un caso del mio essere italiano. I tormenti del
proprio paese sembreranno sempre peggiori e più paradossali di quelli di ogni
altro. Ma è difficile resistere alla tentazione di considerare l'Italia un caso
limite, la punta estrema delle
contraddizioni occidentali. Fino a qualche tempo fa, provavo a pensare
all'Italia come a un grande spettacolo, un'operetta-pasticcio, un musical
tragicomico pieno di colpi di scena. Infatti per anni siamo stati drogati dai
colpi di scena, così come siamo drogati dal trauma, dalla notizia a ciclo
continuo. Avere un intrattenitore al centro della scena ci nauseava e insieme
ci riempiva le giornate. Oggi neppure questo effetto-circo dell'orrore ci
distrae più, è rimasta solo la nausea. L'Italia è un paese esausto, esaurito, è
come un corpo completamente contuso: ovunque ti toccano, gemi di dolore. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<b>Una delle
linee dominanti del libro è la violenza: la violenza dello Scannacristiani e
degli altri mafiosi verso il piccolo Giuseppe di Matteo; la violenza della
folla dei manifestanti contro il padre di Eluana Englaro; la violenza assurda
di Vittorio Emanuele di Savoia che colpisce con una pallottola il giovane Dirk
Hamer; la violenza dei poliziotti che ammazzano di botte Federico Aldrovandi e
si potrebbe continuare con l’elenco. Come si può spiegare questo assurdo
proliferare degli istinti più ferini dell’essere umano? E’ una deriva del
nostro presente o tutta questa violenza è propria della storia dell’uomo?</b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Il presente iperconnesso, ipermediatizzato, iperconsapevole agisce
come un castello di specchi. Ogni violenza rimbalza e ci avvolge. Poi, suppongo
che ciò che rende particolarmente amara la violenza oggi è che fino a dieci o
vent'anni fa ci consideravamo ancora, tutto sommato, un mondo in progresso. Un
mondo di esseri umani destinati a migliorare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Il
racconto “Il ragazzo fantasma” termina in un luogo alquanto singolare: la casa
del Grande Fratello. Per quale ragione ha scelto di far confluire il
protagonista e molti altri fantasmi proprio in questo luogo?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
Il Grande Fratello è stato uno dei simboli dell'inautenticità degli
anni Zero. E un grande modello di economia neoliberista: prendere dei corpi
giovani cresciuti nell'era mediatica e convincerli a essere loro stessi lo
spettacolo. Ne usciva un modello di gioventù docile, lucida, intercambiabile,
pronta a diventare carne da macello sotto le luci di uno studio televisivo.
Sotto quelle stesse luci ho fatto invece andare i fantasmi, l'altra gioventù,
quella rimossa, quella ammazzata da poliziotti troppo violenti, quella che non
ha trovato un posto nel sistema.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Papyrus;"><span style="font: normal normal normal 7pt/normal 'Times New Roman';"> </span></span><b>In tutte
le sue opere, la musica ha una grande importanza. In questo libro, i personaggi
ascoltano canzoni di Carla Bruni, dei Nirvana, di Janis Joplin… In che modo ha
scelto la “colonna sonora”?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
La musica alleggerisce, schiarisce. Ci sono delle dinamiche anche
molto pop in questo libro. Ci sono rimandi musicali e, sebbene non dichiarati,
cinematografici. Ci sono personaggi che fanno sorridere.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list 18.0pt left 467.8pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b>Ora, dopo
questo libro di racconti, a che cosa sta lavorando?<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 42.45pt; tab-stops: 467.8pt; text-align: justify;">
A un nuovo grosso romanzo.</div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-69227096681513409452011-10-29T19:13:00.001+02:002011-10-30T10:28:07.124+01:00Il ritorno del dinosauro di Piero Dorfles<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
(Pubblico qui una recensione sul libro <i>Il ritorno del dinosauro di </i>Piero Dorfles, che ho scritto in occasione di alcuni incontri che il celebre giornalista e critico letterario ha tenuto a Vicenza oramai diversi mesi fa). </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
di Fabio Giaretta</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYA4-2k4urb4drhF2iiFCqBXumk71JN-ZnktSMk1lW2v4M-9KBFDYQRozH4pWcgBCiq-hf4gDYIhP1R7HMUBYrzBy3wOkhUO9V6abPkH1udt-z4dz_ZmXDZ55qIoOdCQgZ9Churg/s1600/Il+Ritorno+del+dinosauro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYA4-2k4urb4drhF2iiFCqBXumk71JN-ZnktSMk1lW2v4M-9KBFDYQRozH4pWcgBCiq-hf4gDYIhP1R7HMUBYrzBy3wOkhUO9V6abPkH1udt-z4dz_ZmXDZ55qIoOdCQgZ9Churg/s1600/Il+Ritorno+del+dinosauro.jpg" /></a>«Aiuto, sono
un dinosauro. Appartengo a una specie estinta e non me n’ero accorto. Non
idolatro la tecnologia, guardo poco la televisione, non possiedo nemmeno un
iPod, non ho una pagina su Facebook e non sopporto i luoghi rumorosi. È chiaro,
appartengo a un’epoca preistorica». Si apre con questo ironico autoritratto
l’ultimo libro di Piero Dorfles <i>Il
ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura</i> (Garzanti, 210 pagg., euro
18,60), nel quale il celebre giornalista e critico letterario, noto soprattutto
per la sua partecipazione alla trasmissione televisiva <i>Per un pugno di libri</i>, cerca di capire le cause del declino del
nostro Paese.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
Dorfles si autodefinisce un relitto preistorico, ma
questo non significa che egli sia un miope passatista, un reazionario favorevole
ad una rivoluzione conservatrice. Egli
sa bene che bisogna fare i conti con il progresso e che non c’è niente di
peggio di chi guarda indietro invece che avanti. Però è necessario lottare
affinché la modernità non distrugga valori importanti. Ciò che deve essere
assolutamente difeso è la cultura, perché l’emergenza che sta vivendo oggi
l’Italia non è tanto politica, economica e istituzionale, ma culturale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
Secondo
Dorfles questa emergenza culturale si sta aggravando a causa della nostra
indifferenza e del nostro conformismo. Di giorno in giorno diventiamo più
insensibili ai veleni che ci circondano e questo fa sì che la soglia
dell’irritazione, dello scandalo, della ribellione al prevalere del cattivo
gusto arretri sempre di più.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
I segni di
questo declino culturale sono sotto gli occhi di tutti. Si vedono nello
scadimento della televisione, che ubbidisce stancamente alle regole che si è
data da sola, e che non vende più programmi agli spettatori, ma telespettatori
agli investitori pubblicitari. Si scorgono in un sistema di informazione che
privilegia notizie ovvie e che fa leva su una comunicazione emotiva, che
sollecita la nostra parte sentimentale, ma che ci fa perdere la capacità di
presa razionale sulla realtà. Appaiono macroscopici nella nostra classe
dirigente, o meglio digerente, che anziché dirigere il Paese, se l’è spartito e
mangiato. Una classe priva dell’immaginazione e della progettualità necessarie
per rendere l’Italia un paese davvero competitivo e aperto al futuro. Tuttavia
secondo Dorfles, che si tiene ben lontano da facili derive qualunquiste, la
società civile non è meglio dei suoi governanti perché l’illegalità e le
pratiche disinvolte sono diffuse e accettate a livello di massa. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
Anche la
scuola è stata svuotata della sua capacità formativa soprattutto a causa
dell’eclissi del principio di merito, della dignità del sapere e del ricorso a
tutte le scorciatoie possibili per garantirsi il successo. «È venuta meno la
convinzione della collettività che il momento educativo sia il presupposto per
dare ai giovani non solo solide basi culturali, ma anche coscienza di sé». Però
se è vero che la conoscenza non produce automaticamente ricchezza, l’ignoranza
produce automaticamente povertà; le statistiche, che ci danno ai primi posti
come consumo di ore tv e come possesso di telefonini, ma in coda come capacità
di lettura e per quantità di libri letti, non sono in tal senso incoraggianti.
E se si continuerà a investire poco e male nella ricerca e nella cultura, il
nostro Paese è destinato a giocare un ruolo sempre più subalterno e marginale
perché “senza sfida della conoscenza, senza la maturità del sapere, senza
approfondimento si annega”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-right: 22.9pt; text-align: justify;">
Eppure
Dorfles non si piega mai ad un rassegnato pessimismo, ben consapevole che “senza
ribellione c’è accettazione e che se non ci si riscuote, si soccombe”. Non sarà
però una legge a cambiare i valori né una nuova tornata elettorale a fermare la
deriva. Quello che serve è un processo di revisione e di rigenerazione della
cultura collettiva, una nuova spinta ideale che non miri solo al progresso
economico e tecnologico ma anche ad un reale progresso della coscienza e della
conoscenza. </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-37619780436539548252011-10-20T19:19:00.004+02:002011-10-25T18:00:54.414+02:00"Tra bosco e non bosco. Ragioni poetiche e gesti stilistici ne Il Galateo in Bosco di Andrea Zanzotto"<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi42HObT5HpuM5db0hdzrvlrLrcvJJ403txm0O4vxffbPHzYyR92svLsFHeUieAuD_LNpfCjMFMPMjkEH3M9ntSzeqe_copeDyoWPjYC5Ga5a61kqgKYGZg1ck-VgXHPvYL25HUGA/s1600/cover-sartori-su-zanzotto-b.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320px" rda="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi42HObT5HpuM5db0hdzrvlrLrcvJJ403txm0O4vxffbPHzYyR92svLsFHeUieAuD_LNpfCjMFMPMjkEH3M9ntSzeqe_copeDyoWPjYC5Ga5a61kqgKYGZg1ck-VgXHPvYL25HUGA/s320/cover-sartori-su-zanzotto-b.jpg" width="207px" /></a>In omaggio ad Andrea Zanzotto, senza dubbio uno dei più grandi poeti del secondo Novecento, pubblico la <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/298788__zanzotto_in_quel_galateo_il_senso_della_lingua_e_dei_luoghi/">recensione, che ho scritto per il Giornale di Vicenza</a>, sul saggio che lo studioso di Monte di Malo Enio Sartori ha dedicato a <em>Il Galateo in Bosco</em>, uno dei libri più importanti del poeta di Pieve di Soligo.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">di Fabio Giaretta</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
"In uno spazio saturo, nulla può accadere" (Enio Sartori)<br />
<br />
</div><div style="text-align: justify;">In che modo possiamo riattivare una relazione più intima e autentica con le lingue, con i luoghi e con il mondo? È questa la domanda attorno a cui ruota il saggio di Enio Sartori <em>Tra</em> <em>bosco e non bosco. Ragioni poetiche e gesti stilistici ne Il Galateo in Bosco di Andrea Zanzotto</em> (Quodlibet, pagg. 215, euro 22). Sartori insegue la risposta analizzando una delle opere centrali della produzione di Andrea Zanzotto ovvero Il Galateo in Bosco, uscito nel 1978 per Mondadori. Lo studioso di Monte di Malo (autore anche dei testi dell’ultimo, intenso album di Patrizia Laquidara <em>Il Canto dell’Anguana</em>) ha scelto di soffermarsi su questa raccolta perché è quella in cui i temi della lingua, del luogo e dell’abitare trovano una piena espressione. </div><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">Il titolo del libro, <em>Tra bosco e non bosco</em>, vuole appunto indicare la postura con cui Andrea Zanzotto si pone nei confronti del luogo, incarnato nel <em>Galateo</em> dal bosco del Montello, e della lingua. Quello di Zanzotto, sottolinea Sartori, è un dimorare sulla soglia. Infatti, l’unico modo di relazionarsi con il bosco, metafora della realtà e del mondo, è quello di aprirsi ad una vitale disponibilità, ad una “mobilità pendolare”, rinunciando a qualsiasi chiusura e confine. Il poeta deve sentirsi “gnessulógo”, nessun luogo, deve coltivare la radura (voce che si rifà al termine “Lichtung” di Heidegger e che sta ad indicare “l’Aperto per tutto ciò che è presente e tutto ciò che è assente”) che connette il bosco e il non bosco e che contemporaneamente “apre e delimita, mette in comunicazione e slega”. Solo in questo modo il mondo non diviene qualcosa di dato, ma qualcosa che continuamente si dà. Questo perché il soggetto, rinunciando a qualsiasi forma di possesso nei confronti del reale, partecipa all’inesauribile “movimento del venire al mondo del mondo”. </div><br />
<div style="text-align: justify;">Anche la lingua, per raggiungere un rapporto non inerte con la realtà, deve mantenersi in una “condizione inaugurale perpetua”. Il poeta di Pieve di Soligo riesce a raggiungere questo scopo, scegliendo una posizione interstiziale, agendo cioè su quella barra che tiene divaricato il significante dal significato, liberando il primo dalla sottomissione al secondo.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">Riferimento fondamentale di questo modo di porsi nei confronti del linguaggio è Jacques Lacan. In particolare, dallo psicanalista francese Zanzotto riprende il tema de “lalangue”, che può essere identificato con la lingua materna a cui il bambino è iniziato dalla madre. Scrive a tal proposito Sartori: «La voce lalangue non solo imita ma, al contempo, inscena quella esperienza linguistica-lalinguistica di esitazione e contemporaneamente di godimento del significante detta lallazione, che si produce nello spazio transizionale tra madre e bambino, spazio in cui il preverbale e il verbale reciprocamente si originano». Solo dimorando in questa faglia tra significante e significato, la parola poetica può dare voce ad “ogni gemmazione della realtà” e accedere al rimosso del bosco, della storia, della lingua e del soggetto. Perché il luogo di massima prossimità del dire rispetto all’essere si trova proprio in quel punto che sta tra suono inarticolato e linguaggio articolato, in quel balbettio afasico grazie al quale la lingua libera e sprigiona tutte le sue potenzialità.</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">Come si può intuire da questa rapida ricognizione, il libro di Sartori mostra una grande densità e complessità tematica, che sa offrire un attraversamento inedito e affascinante del <em>Galateo in Bosco</em> e che, nello stesso tempo, sa dare preziose indicazioni sul modo più vero di abitare i luoghi e la lingua.</div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-58731238047435102862011-08-23T19:46:00.002+02:002011-10-20T19:33:03.536+02:00"Elogio della stroncatura". Lettera di Giorgio Faletti a Giorgio De Rienzo<div style="text-align: justify;">In Italia, da quanto ho potuto constatare in questi anni, sia come occasionale recensore, sia come lettore di recensioni, il rapporto tra critico e autore è inquinato alle radici. Manca, in molti casi, una critica libera, schietta e sincera, che sappia andare oltre alla vischiosa e gretta rete dell'interesse personale, dei favori reciproci, delle logiche editoriali. Non dimentichiamo che molti autori sono a loro volta critici e questo aumenta la fabbrica dell'incensazione: tu recensisci bene il mio libro, io farò lo stesso con il tuo e così via, in una catena che prosegue inarrestabile. E' altrettanto raro trovare autori capaci di vedere in una stroncatura intelligente ad una loro opera una via per crescere e per migliorarsi. (Ho scritto intelligente perchè, non di rado, anche le stroncature rientrano in quella rete perversa e faziosa di cui ho parlato prima, oppure obbediscono a immotivati sfoghi sorretti da una ben povera analisi critica). </div><div style="text-align: justify;">Per questo mi è piaciuta molto <a href="http://www.corriere.it/cultura/11_agosto_23/elogio-della-stroncatura-mi-ha-aiutato-a-scrivere-giorgio-faletti_e68d89ae-cd49-11e0-8914-d32bd7027ea8.shtml">la lettera</a> che Giorgio Faletti ha scritto sul Corriere della sera di oggi, indirizzata al critico Giorgio De Rienzo, morto un mese fa, e che vi invito a leggere. In essa, il celebre comico, attore e scrittore dà prova di un'umiltà e di un'autoironia di cui molti autori italiani difettano. Leggere le sue parole è stata per me una boccata d'aria fresca. </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-74441171433042059622011-08-23T16:32:00.002+02:002011-10-30T10:28:35.538+01:00I blues del quartiere di Antonio Stefani<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;">
<a href="http://libreriarizzoli.corriere.it/is-bin/intershop.static/WFS/RCS-RCS_PhysicalShops-Site/RCS/it_IT/LibreriaRizzoli/big/978/8/8/8/9788882372200g.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qaa="true" src="http://libreriarizzoli.corriere.it/is-bin/intershop.static/WFS/RCS-RCS_PhysicalShops-Site/RCS/it_IT/LibreriaRizzoli/big/978/8/8/8/9788882372200g.jpg" /></a></div>
(articolo comparso sul <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/134777__stefani_la_poetica_del_rasoterra_vola_in_teneri_sogni/">Giornale di Vicenza, l'11 marzo 2010</a>)<br />
<br />
di Fabio Giaretta<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
«Eppure tra questi fuochi di periferia / capannoni cantieri centri commerciali / eppure con un minimo di buona volontà / trascorrerà la vertigine ancora / dell’ora primaverile / quando aria e velluto / hanno lo stesso profumo». Questi versi, tratti da I blues del quartiere (Meridiano zero, 176 pp., euro 12), nuova raccolta di poesie del vicentino Antonio Stefani, riassumono perfettamente i due poli che sorreggono il libro. Da una parte, infatti, emerge l’immagine di una ronzante «città alveare», invasa dal catrame, intossicata dai gas di scarico, stregata da sirene artificiali, che svuota la vita degli individui riducendola ad una grigia sequenza di azioni usurate come si può leggere nei seguenti versi tratti da <em>Pop song</em>: «Ci attende l’agenda del presente / farcita di post-it continuamente / che contempla in sequenza / miraggi d’autolavaggi / la provvista degli ortaggi / i salmi e le palme / i conti correnti / ore straordinarie / ore da contratto / il rispetto allo Stato malgrado / ogni tassa pagata malgrado». </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dall’altra parte però l’io lirico non si fa azzerare da questo inautentico grigiore e cerca continuamente angoli di stupore, attimi di impreviste epifanie, perché «anche la tenebra più nera / ha un’aureola di chiaro». Si può così trovare l’incanto in una rosa silenziosa «oltre l’aiuola intossicata», in un’indisponente Venezia che, nonostante sia diventata un brulicante bazar, sa ancora commuovere, in un assolato paesaggio marino, o in una sorta di sogno ad occhi aperti, nel quale possono materializzarsi fedeli compagni di viaggio che rendono più luminosa l’esistenza: «Ma giusto all’uscita qua sotto / all’angolo dove si piazza / Bob Dylan Thomas a cantare / Mister Gershwin, suonami un clacson / maestro Mozart, invitami a cena / Tommy Eliot, serviamoci un tè / Lenny Cohen, one more drink / vecchio Pound». Spesso lo stupore si riaccende a contatto con il mondo infantile, nel quale «la forza bizzarra della vita / urta un sangue ancora felice» come in <em>Disegni</em> o in <em>Canzone per Cece</em>, nella quale un parco giochi e un bimbo consentono di cancellare «l’indaffarato pulviscolo / del premere umano / per l’obolo e il vanto».</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Esistono poi dei luoghi magici come il teatro o lo stadio. Quest’ultimo, ad esempio, diventa uno spazio fuori dal tempo, all’interno del quale si celebra una sorta di rito pagano capace di ridare forza epica alla vita. Un’intera sezione della raccolta, <em>L’erba morsa</em>, è dedicata appunto al gioco del calcio e allo spettacolo domenicale che, nonostante gli sponsor, «i prezzi dei biglietti / gli oltraggi degli ingaggi / le vergogne sui muri / bagliori di guerriglia» è ancora in grado di meravigliare con il suo «chiasso orchestrale» che «sa di cicche e panini / di sbadigli e lattine / di linee contese di branchi impazziti / tra attacchi e difese». </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I testi che compongono <em>I blues del quartiere</em> prediligono una poetica del rasoterra, ben ancorata alla concretezza e alla quotidianità dell’esistenza, che ricorda per molti aspetti poeti crepuscolari come Gozzano, esplicitamente citato in <em>Marina</em>, o Govoni. Illuminanti risultano questi versi tratti dalla poesia <em>Minore</em>, nella quale si nota anche una delle tecniche più usate da Stefani, ovvero il serrato accumulo di immagini che testimoniano la multiforme varietà della realtà: «Non sogno paradisi / al mistico Graal preferisco / questo caffè autostradale / questa famiglia in pizzeria / le chips di hamburgeria / i dischi la libreria / chiedo di stare dabbasso / se posso, se m’è concesso». </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Massimo Bubola, nella prefazione, parla di una poetica con gli stivali, colta e raffinata, ma nello stesso tempo capace di navigare negli oceani della poesia contemporanea e di immergere i suoi tacchi nella polvere e nel fango. I versi di Stefani mostrano infatti una voracità che non accetta ammuffiti limiti e che non fa distinzione tra alto e basso, tanto nei modelli, quanto nei contenuti, perché l’autore sa che «liquida è la cifra della vita» e che si può scrutare l’universo anche nelle aiuole. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per quanto riguarda i numerosi riferimenti musicali sparsi a piene mani fin dal titolo, essi non devono ingannarci: i testi della raccolta non sono canzoni che attendono una musica, ma poesie già dotate di una sottile, spesso ironica e surreale cantabilità, ottenuta grazie ad un dettato mosso e incalzante e ad un sapiente e insistito intarsio sonoro, fatto soprattutto di rime, assonanze, allitterazioni e paronomasie. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-85317491881347353382011-08-23T15:49:00.004+02:002011-08-23T16:37:26.244+02:00Cantami o Dj... Lezioni parecchio alternative di italiano<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;"><a href="http://www.kowalski.it/2009/libri/9788874967704/8874967704.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" qaa="true" src="http://www.kowalski.it/2009/libri/9788874967704/8874967704.jpg" /></a></div>(Articolo comparso sul <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/217180__cantami_o_dj_cos_litaliano_simpara_con_le_canzoni/">Giornale di Vicenza, mercoledì 12 gennaio 2011</a>)<br />
<br />
di Fabio Giaretta<br />
<br />
La scuola, spesso, invece di creare nei ragazzi la passione per la poesia, finisce per ucciderla.<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">Ore e ore di asettiche e meccaniche vivisezioni testuali scandite dai programmi ministeriali finiscono per far credere agli studenti che la poesia sia una noiosa, complicata e anacronistica materia scolastica, che sopravvive solo dentro le aule e con cui dopo la maturità non si avrà, fortunatamente, più nulla a che fare. Per combattere questa falsa credenza, Matteo De Benedittis, giovane insegnante di Reggio Emilia, ha scritto un libro intitolato <em>Cantami o Dj… Lezioni parecchio alternative d’italiano</em> (Kowalski, 240 pagg., euro 12) nel quale spiega, in modo appassionato e appassionante, i rudimenti della poesia attraverso i testi delle canzoni.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><em>Lo scrutatore non votante</em> di Samuele Bersani può così diventare un ottimo alleato per insegnare le principali regole della scansione metrica dei versi. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Caparezza, Ligabue, Jovanotti, Battiato, J-Ax, Fabrizio De Andrè, Tiziano Ferro, Max Pezzali, Frankie Hi-nrg, Vinicio Capossela e moltissimi altri cantanti citati da De Benedittis possono svelarci la bellezza delle figure retoriche e farci capire che esse non sono dei freddi tecnicismi con dei nomi un po’ snob, talvolta quasi impronunciabili, in mano ad una casta di iniziati, ma dei preziosissimi mezzi che la lingua ci mette a disposizione per dar voce a ciò che è inesprimibile e ineffabile. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Un testo come <em>L’armata delle tecniche</em> de La Kattiveria, un gruppo hip hop reggiano, può diventare un buon banco di prova per sperimentare le mosse principali che si devono mettere in campo quando si fa una parafrasi. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><em>Tapparella</em> di Elio e le Storie Tese o <em>Buoni o cattivi</em> di Vasco Rossi possono aiutarci a sviluppare la nostra capacità di analizzare un testo e di comprenderne appieno il significato. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
</div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">Perché, secondo De Benedittis, cercare di capire le poesie di Petrarca o di Dante o le canzoni di Ligabue o Jovanotti è un po’ la stessa cosa. Ci aiuta ad uscire da un atteggiamento passivo e superficiale verso ciò che ci circonda; è un atto d’amore e di gratitudine nei confronti del mondo e della sua multiforme e contraddittoria bellezza. </div><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: justify;"><a href="http://www.kowalski.it/2009/libri/9788874967704/8874967704.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; cssfloat: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a></div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-50894859826261488062011-08-09T15:55:00.003+02:002019-07-14T14:00:59.603+02:00Una voce nel disastro di Alberto Brodesco(Articolo comparso, in forma più breve, sul <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/77055__disastro_quel_film_non__un_caso/">Giornale di Vicenza dell'11 agosto 2009</a>)<br />
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di Fabio Giaretta<br />
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<a href="https://img.ibs.it/images/9788869167706_0_0_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="317" data-original-width="200" src="https://img.ibs.it/images/9788869167706_0_0_0_75.jpg" /></a>Fin dalle sue origini il cinema ha mostrato una forte attrazione per il disastro. Già in film come Collision et naufrage en mer (1898), Charmant voyages de noces (1899), Éruption volcanique à la Martinique (1902) di Georges Méliès, uno dei padri fondatori della settima arte, si può notare un precoce interesse per la rappresentazione della catastrofe. L’arte cinematografica, infatti, grazie all’uso delle immagini in movimento, ha la possibilità di far rivivere il disastro in diretta, rendendolo un’adrenalinica fonte di intrattenimento. Il cinema va quindi in cerca dell’evento catastrofico perché funziona dal punto di vista narrativo. </div>
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Da questo filone così longevo e popolare si possono ricavare anche interessanti considerazioni sociologiche. È quanto fa Alberto Brodesco nel suo appassionante saggio Una voce nel disastro. L’immagine dello scienziato nel cinema dell’emergenza (Meltemi editore, 190 pagine, 18 euro). Brodesco, nato a Malo nel 1975, dottorando in Studi Audiovisivi presso l'Università di Udine, parte dal presupposto che un’ondata di film sull’emergenza non è casuale, ma nasce da un humus sociale che va investigato. Il movimento non è però monodirezionale in quanto i film possono nello stesso tempo cambiare l’immaginario che li ha prodotti. Il libro si sofferma su quello che Brodesco definisce cinema dell’emergenza, categoria che comprende il cinema catastrofico (la minaccia riguarda una comunità circoscritta) e quello apocalittico (l’evento distruttivo mette a repentaglio le sorti di tutta l’umanità), soprattutto perché esso consente di studiare, nel modo più semplificato possibile, i rapporti tra società, politica e scienza, costrette dal pericolo ad una comunicazione immediata tra loro. L’intervento nella narrazione di una minaccia mortale per la collettività rende, infatti, maggiormente visibili le dinamiche sociali riducendole alle loro forme elementari. </div>
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Brodesco analizza con grande acutezza alcuni capitoli fondamentali della storia del cinema dell’emergenza, concentrandosi in particolare sulla figura dello scienziato. Questo viene rappresentato attraverso un campionario di stereotipi, non di rado contraddittori, che permettono tuttavia di capire come viene costruito e percepito socialmente il suo ruolo. Lo scienziato, al cinema, appare una figura ambigua, che oscilla tra due poli: può essere un distruttore oppure un salvatore dell’umanità. </div>
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Il cinema espressionista tedesco degli anni Venti e gli horror Universal degli anni Trenta, con film come Il gabinetto del dottor Caligari di R. Wiene, Il dottor Mabuse e Metropolis di F. Lang, Frankenstein di J. Whale offrono dei modelli decisivi nella rappresentazione dello scienziato. In questa fase prevale una sua funzione negativa. Vengono inoltre elaborati alcuni segni distintivi destinati a durare nel tempo: lo scienziato si muove nello spazio chiuso del suo laboratorio, indossa il camice, ha i capelli scompigliati (secondo il modello di Einstein, simbolo del cervello brillante ma ingovernabile che sta sotto), spesso ha un difetto fisico che ci mette in guardia su una possibile manchevolezza nella gestione della conoscenza. </div>
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Secondo le coordinate tracciate da Brodesco, il cinema dell’emergenza conosce la sua prima fioritura negli anni Cinquanta, nell’atmosfera della guerra fredda. In questo periodo la scienza sconta la scoperta della bomba atomica e quindi lo scienziato viene guardato con diffidenza, anche se può avere un ruolo sia positivo che negativo. È interessante notare come la paura del comunismo si materializzi sullo schermo attraverso l’inquietante figura del marziano. </div>
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Nel frattempo due film determinanti di S. Kubrick, Il dottor Stranamore (1964) e 2001 Odissea nello spazio (1968) fanno acquistare alla science-fiction una capacità di riflessione politico-filosofica che caratterizzerà il genere dagli anni Settanta in poi. Queste due opere mostrano quanto siano imperfetti i meccanismi di controllo elaborati dall’uomo e come la tecnologia contenga già in sé il germe del proprio fallimento. </div>
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Proprio negli anni Settanta, il cinema dell’emergenza torna ad un alto grado di popolarità, portando sullo schermo una visione più privata della catastrofe con i disaster-movie. Una delle pellicole simbolo di questo periodo è Lo squalo di S. Spielberg che favorisce la proliferazione di moltissimi film nei quali il pericolo proviene dal mondo animale. Lo scienziato continua ad essere una figura ambigua. Gli viene imputata una parte di colpa nella spiegazione della deriva del mondo ma nello stesso tempo, quando le cose vanno male, si ricorre sempre a lui. </div>
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Un nuovo evidente interesse per la tematica del disastro si ha negli anni che precedono il Duemila, con film come Independence day di R. Emmerich, Armageddon di M. Bay e molti altri, di pari passo con l’oscuro pericolo millenaristico collegato a questa data. Nei film dell’emergenza degli anni Duemila prevale il lato eroico dello scienziato, che tende ad assumere la parte del salvatore. In molte pellicole, il disastro si abbatte sulla città di New York, definita dall’architetto Le Corbusier “un cataclisma al rallentatore”. In alcuni film, fa notare Brodesco, è addirittura possibile scorgere una sconcertante anticipazione dell’11 settembre. In Armageddon, ad esempio, si vede una Twin Tower mozzata, con la cima fumante. Se isoliamo il fotogramma, esso appare indistinguibile da una ripresa dell’11 settembre.</div>
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Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-1632879240116763912011-08-05T09:52:00.011+02:002011-08-23T16:57:46.954+02:00"I ferri del mestiere" di Andrea Ponso<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7gjGq7mssxMrKxJ86-GOvCRcHMDdCROKnbuU8DiOFM_DG4-kDdnyltbVl0WQbLb1-3R9CUBxW6h8r4VPmYN0of1DoAvN8-pFgM50yAfy4CveIn2MRdW533u6GoaX9-yzeVp48xQ/s1600/I+ferri+del+mestiere.jpg"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5637311281112533602" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7gjGq7mssxMrKxJ86-GOvCRcHMDdCROKnbuU8DiOFM_DG4-kDdnyltbVl0WQbLb1-3R9CUBxW6h8r4VPmYN0of1DoAvN8-pFgM50yAfy4CveIn2MRdW533u6GoaX9-yzeVp48xQ/s320/I+ferri+del+mestiere.jpg" style="cursor: hand; float: left; height: 284px; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 177px;" /></a><br />
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(Pubblico qui un articolo, uscito sul Giornale di Vicenza, sull'ultima raccolta poetica di Andrea Ponso, "I ferri del mestiere").<br />
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di Fabio Giaretta<br />
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<div align="justify">L’esordio poetico di Andrea Ponso, nato a Noventa Vicentina nel 1975, risale al 2003, anno in cui uscì la raccolta <em>La casa</em> (Stampa) e la plaquette <em>L’ira del chiaro</em> (edizioni d’arte Grafiche Fioroni). Nella prefazione a <em>La casa</em>, Maurizio Cucchi scriveva: «Andrea Ponso ha solo ventotto anni, eppure possiede una già compiutissima maturità espressiva, e una fitta trama di ossessioni strutturali che rendono questo suo libro sorprendentemente concluso e originale». A distanza di otto anni, Ponso torna ora con un nuovo libro di poesie, intitolato <em>I ferri del mestiere</em> (31 pagg., euro 5), pubblicato da Mondadori nella collana Lo Specchio.<br />
In questa sua nuova raccolta, Ponso conferma il giudizio dato da Cucchi e nello stesso tempo conquista uno stile ancora più asciutto e rigoroso, in cui tutto appare essenziale e necessario.<br />
L’opera nasce da un vuoto, da un’immedicabile ferita. Ad un livello strettamente biografico questa ferita è legata alla morte del padre, ricordato più volte, con composto e sommesso dolore, nella raccolta. La prospettiva di Ponso però non rimane ancorata ad una dimensione privata, ma si allarga ad una visione generale dell’esistenza e del destino dell’uomo.<br />
Come nel suo primo libro, lo sguardo del poeta indaga, con distacco, ma nello stesso tempo con umana partecipazione, gli aspetti minimi della natura, solo che ora, alle minute e intricate avvisaglie di vita che popolavano la sua prima opera, si aggiungono inquietanti e frequenti segni di morte. Il mondo vegetale e minerale assume così forme enigmatiche e sfuggenti, in continua metamorfosi. Scrive Ponso in uno dei testi chiave della raccolta: «Per dirti ora, questa metrica che / misura l’arsura. È come stare in / piedi nella morte, tra i cardini / di una porta; / e questa è la forza che mi conserva, / destino di chiodi e tiranti stesi / sul marmo dove mio padre riposa». La scrittura diviene un modo per guardare in faccia la morte, con dignità, senza viltà né facili consolazioni. I versi servono a misurare l’arsura, lo sgretolarsi di un mondo scalcinato, ma nello stesso tempo permettono di scoprire anche ciò che resiste e che dura all’arsura. La ferita certo non può essere sanata del tutto («E si rimane con la fame / che decima la dentatura: così / l’organismo, dalla sua notte buia, / si nutre di se stesso»), tuttavia si può trovare una via di salvezza svuotandosi di sé, diventando come l’erba che germoglia tra i sassi, ritrovando una dimensione elementare ed essenziale dell’esistenza come si legge in questa poesia: «Ho chiesto solo una casa nel secco, / chiarezza di giglio sotto le foglie; / un pane modesto di nera crusca, / lo spazio discreto dei nostri passi». </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-11391253330788661392010-08-24T14:46:00.007+02:002010-10-20T22:06:44.239+02:00C'è bufera dentro la madre di Stefano Guglielmin<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0TGPVCYfFuVIOSGGi3-a6a4qdGq4DOukjqg4srv4MMfmL8g5ojBxNCip6MFxsnthcQQmQ14fPRx9QIgv1WFRCuaRjvu9wkI__MTrbcwrAeZvVuAWFKRF8Pt3IcYOq8o6fQNJ4Ig/s1600/cebuferadentro.jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 171px; FLOAT: left; HEIGHT: 240px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5508958874249071714" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0TGPVCYfFuVIOSGGi3-a6a4qdGq4DOukjqg4srv4MMfmL8g5ojBxNCip6MFxsnthcQQmQ14fPRx9QIgv1WFRCuaRjvu9wkI__MTrbcwrAeZvVuAWFKRF8Pt3IcYOq8o6fQNJ4Ig/s320/cebuferadentro.jpg" /></a>Quella che segue è la recensione integrale (uscita in forma leggermente ridotta sul Giornale di Vicenza del 19 agosto 2010) che ho scritto sull'ultima raccolta poetica di Stefano Guglielmin.<br /><p>di Fabio Giaretta</p><div align="justify">Tra i non pochi poeti, o sedicenti tali, attivi oggi nel Nord-Est, lo scledense Stefano Guglielmin è senz’altro tra i più dotati e consapevoli. Ne è un’ulteriore conferma la sua nuova raccolta poetica, <em>C’è bufera dentro la madre</em> (L’arcolaio, pagg. 56, euro 11) nella quale l’autore fa i conti con il nostro presente. La bufera del titolo allude infatti alla crisi economica e alla crisi di valori che si è scatenata all’interno di quella che Guglielmin chiama "la madre". Questo termine fa riferimento all’organismo nel quale siamo immersi, al grembo, oramai malato, che ci tiene in vita, che ci determina e dal quale non possiamo uscire. Scopo dell’autore diventa quindi quello, come scrive Cristina Annino nella prefazione, di "indagare secondo ragione la vita vera quando collassa". Un’indagine pietosa e crudele nello stesso tempo, che si articola in 39 brevi ma densissimi testi, nei quali il poeta descrive la realtà che ci circonda procedendo per schegge, per frammenti, utilizzando immagini che, grazie alla loro originalità e forza polisemica, evitano la trappola del luogo comune e della banalità. I versi, per aderire al mondo degradato che viene descritto, si fanno asciutti e disadorni. Come per Montale, esplicitamente presente tra i modelli della raccolta fin dal titolo, anche per Guglielmin il poeta, pur non rinunciando al suo compito di denuncia del mondo mercificato e massificato, è in grado offrire solo "qualche storta sillaba e secca" che non può, e non vuole, mostrare rassicuranti soluzioni.<br />Nel libro, la bufera viene vista attraverso gli occhi di una terza persona dai contorni sfumati ma che può essere identificata, ad un primo livello, con il padrone di una fabbrica, un "unto del bendidìo". Egli appare scisso tra due dimensioni, una diurna, predominante, e una notturna. Di giorno segue in modo implacabile la logica del profitto ed è animato da un delirio di controllo assoluto che lo porta a dire "io sono il signore dio mio / forcina del mondo". Egli è spinto da un senso di superiorità virile, ben rappresentata dall’immagine fallica del "ramo", che spesso tocca attraverso le tasche come se volesse ricordare continuamente a se stesso il suo potere. È un Caino nato da parto gemellare che "fonda regole e città, marca rioni. / vorrebbe giardini intorno, ma fa crateri, e quando apre, strappa".<br />Di notte, invece, diventa più vulnerabile, "prima di dormire, prega abele / di non lasciarlo". Quando cala l’oscurità si insinua infatti il tarlo del dubbio e si aprono spiragli di larvale tormento e di malinconica consapevolezza in cui la bufera pare acquietarsi. Egli percepisce allora che tutto quello che ha costruito poggia su un "solido nulla dove la vita trottola e canticchia". Quando pensa alla morte tutta la sua vita vacilla: "teme la morte perché non viene a mezzadria. dopocena, poi / lascia i vermi sul piatto e non dà il resto. lui preferisce / il negozio: dare e avere, comprare. ma la morte è una bocca / impagabile, una ciste che va in fregola appena la sfiora. / quando la tocca, tutta la madre trema". Sono però solo brevi momenti, destinati ad evaporare con l’alba.<br />Ad un livello di lettura più profonda questo padrone diventa però una sorta di io plurale che ci ingloba tutti, in quanto tutti noi siamo figli del sistema occidentale, della sua logica e delle sue storture. Anche noi vorremmo intorno giardini, ma, piuttosto di rinunciare al nostro stile di vita, continuiamo a preferire i crateri. Se spalancassimo gli occhi sul solido nulla che ci circonda, anche noi ci renderemmo conto che "il crepo è totale, che smangia i bordi / anche al nido". Parafrasando la poesia 34, se inorridissimo davvero, se insabbiassimo il perno che ci lega alla pancia del denaro, se riuscissimo a scavare dentro “la madre” una pozza di vita vera, forse, la bufera, di cui anche noi siamo diretti responsabili, un po’ si quieterebbe. </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-44150595067666973052010-07-06T16:32:00.003+02:002010-07-06T18:11:03.332+02:00La forza scardinatrice del "Breviario di novembre" di Alessandra Conte<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUIgygpvokDtDHuR1jUX19KJqkbLEXYXCQr7XMx3PRcoCoU8NAtGdbnixtscro7jR2XTbIg1wWpWW089uLpCVlEtoeYMj6isKWblUQso34_8ReHQyF9nTI2sKa3WzRE_SbE49eQ/s1600/breviario+copertina.jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 222px; FLOAT: left; HEIGHT: 320px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5490802927334353634" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUIgygpvokDtDHuR1jUX19KJqkbLEXYXCQr7XMx3PRcoCoU8NAtGdbnixtscro7jR2XTbIg1wWpWW089uLpCVlEtoeYMj6isKWblUQso34_8ReHQyF9nTI2sKa3WzRE_SbE49eQ/s320/breviario+copertina.jpg" /></a><br /><div align="justify"></div><div align="justify">"Breviario di novembre" (Raffaelli Editore, 56 pp., 12 euro) della vicentina Alessandra Conte è un’opera prima che spicca per compiutezza e per forza espressiva. Non a caso questa interessante raccolta poetica si è aggiudicata il Premio Guido Gozzano 2009.<br />Il breviario, nella liturgia cattolica, è un libro contenente l’ufficio divino che gli ecclesiastici devono recitare in vari momenti del giorno. Anche le poesie della Conte possono essere considerate delle preghiere, ma di carattere molto particolare. Esse, come scrive Stefano Guglielmin nella prefazione, sono insieme “invocazione pietosa e delirio blasfemo, canto sacro e bestemmia”. I toni possono oscillare da una rassicurante e avvolgente dolcezza materna fino ad arrivare ad un vigoroso e violento furore distruttivo. Il periodo in cui viene situato il breviario, novembre, il mese dei morti, dà ai testi della raccolta una nota funebre, sopra la quale si innalza la voce orante che ci appare all’inizio della prima poesia: “La suora bambola chiama / nel suo letto di noce che sale / con le pareti che si perdono / ancora più in alto, dove i rondoni / gridano e circondano di voli / i morti, fatti di scritture / e guano seccato”. Colei che intonerà le preghiere del libro è una religiosa, una suora, una creatura vivente, ma nello stesso tempo è anche una bambola, porta quindi in sé una dimensione plastificata e inanimata. È insomma una figura che sta al confine tra vita e morte.<br />In questa duplicità riscontrabile in suora/bambola è presente tutto il nucleo del libro che vuole ridare vita e complessità a divinità oramai troppo imbalsamate e irrigidite. La Conte mira a scardinare l’idea stessa di religione, intesa troppo spesso come asfittico armamentario di precetti e di dogmi, che svuotano il rapporto con il sacro, esaltando il senso di colpa, la paura, la diffidenza per ciò che è terrestre e corporeo. Cielo e terra devono ricongiungersi. Suora bambola prova così a costruire una nuova teogonia, che rifiuta una visione maschile e autoritaria di Dio e che attraverso l’impetuosa e rigenerante forza dell’elemento femminino cerca di superare qualsiasi alfabeto, qualsiasi categoria di modo, di genere, di tempo e di spazio, qualsiasi irrigidimento. Emblematici a tal proposito i seguenti versi: “Proteggi le mie strade / dal procedere dritto. / Donami linee armoniche / e allevia le nostre vite / dalla tentazione all’angolo retto”.<br />La potenza del femminino, oltre a mostrarsi nella voce recitante, si rivela soprattutto nell’immagine della Madonna che viene scaraventata giù dal piedistallo degli stereotipi. Essa ridiventa così una donna, caratterizzata non solo da una nivea ed irraggiungibile purezza, ma anche da una vischiosa dimensione terrestre che si manifesta soprattutto attraverso immagini che richiamano il rosso del sangue.<br />Anche Dio subisce la stessa sorte. La situazione tra divinità e fedele non è più data una volta per tutte. Dio può addirittura diventare un’entità fragile, vulnerabile, bisognosa di cure, di cui vanno rifondate le caratteristiche: “Il dio del coraggio è morto / rotolando nella scarpata. Al fondo, / è rinato senza memorie, ma / con le dita rotte la faccia livida. / o dio, tu non sai che ti è successo. / Muori davvero, dormi. / Muori che ti veglio; dormi che sorveglio”. Rotolando dalla scarpata dei luoghi comuni, Dio può ritornare a popolare ogni luogo, restando intimamente vicino all’uomo anche nei momenti più banalmente quotidiani: “Ora e talvolta tu che regni i tuoi regni soffiaci / un poco in fronte, tu che regni i tuoi regni / preparaci la cena”. </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-74697347485381478512010-07-03T15:05:00.009+02:002010-07-06T17:55:22.727+02:00Intervista a Yang Lian<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBdOdbf-mUMCpCvk9kjLPyI3MgqV0NS2Ma1irr34lgEpUtV4BK64SQwXqrrxuzcrQsmnK5cPG7VP6Cx0X2csCIpmU3BgCMGppa8GeLXpOJOWspGz-77cESFXnQqtm6DAme2ZlCRA/s1600/yang+Lian+blog.jpg"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 239px; FLOAT: left; HEIGHT: 320px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5489674725503758370" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBdOdbf-mUMCpCvk9kjLPyI3MgqV0NS2Ma1irr34lgEpUtV4BK64SQwXqrrxuzcrQsmnK5cPG7VP6Cx0X2csCIpmU3BgCMGppa8GeLXpOJOWspGz-77cESFXnQqtm6DAme2ZlCRA/s320/yang+Lian+blog.jpg" /></a><br /><div>di Fabio Giaretta</div><br /><div></div><br /><div align="justify">«La Cina è vicina» si sente spesso dire. E per molti aspetti, soprattutto economici, può anche essere vero. Tuttavia sembrerebbe non essere così vicina da un punto di vista culturale. La cultura cinese, infatti, appare ancora piuttosto lontana, misteriosa e vagamente esotica. Certo, aumentano coloro che la studiano e che si appassionano ad essa, ma rimangono ancora una minoranza, un ristretto gruppo di specialisti. Se dalla cultura in generale restringiamo il campo alla poesia, il numero dei suoi conoscitori si assottiglia ancora di più.<br />In occasione della rassegna Dire poesia 2010, ho avuto l’opportunità di incontrare e di intervistare per <em>Il giornale di Vicenza</em> Yang Lian, uno dei più noti e rappresentativi poeti cinesi contemporanei. L’incontro con questo poeta mi ha spalancato davanti gli occhi frammenti di un mondo che ignoravo totalmente. </div><br /><div align="justify">Yang Lian nasce a Berna, in Svizzera, nel 1955 (i suoi genitori erano funzionari d’ambasciata in quel paese) e ritorna in Cina con la famiglia nello stesso anno.<br />Prima un lungo periodo di lavoro in campagna, come la maggior parte dei giovani poeti cinesi negli anni Settanta, e poi una serie di lunghi viaggi nelle regioni periferiche della Cina, sono per lui paradossali occasioni di ricerca poetica. Dall’agosto 1979 comincia a pubblicare alcune delle sue poesie sulla rivista”Jintian” (Oggi), dopo esservi stato introdotto da Gu Cheng, conosciuto durante il movimento democratico Primavera di Pechino. Questa rivista si fa portavoce di un gruppo di autori definiti dalle autorità cinesi “menglong”, cioè poeti oscuri, vaghi, imprecisi perché la loro poesia non obbediva più alle leggi imposte dai funzionari del Partito comunista. Infatti, a partire almeno dal 1949, servire la politica era stato per decenni il compito della letteratura. Non si pubblicano poesie d’amore, né romanzi, né racconti, ma solo opere politicamente utili. Però, al termine della Rivoluzione culturale (1976) gli scrittori possono finalmente dedicarsi non più solo alle masse. Emerge così una letteratura di critica sociale: è la cosiddetta “letteratura della ferita”, a cui si affiancano altri filoni letterari come “la ricerca delle radici”, “la letteratura della riforma” e, per la poesia, “i Poeti Oscuri”. Sul piano linguistico sono indicati come oscuri perché usano una lingua personale, interiore, legata alla propria esperienza: i concetti artistico-politici come “socialismo”, “capitalismo”, “storia”, “materialismo”, eccetera, sono concetti vuoti, non vere sensazioni, per questo i Poeti Oscuri tornano a parole essenziali come “pietra, terra, luna, sole, vita, morte, dolore” eccetera. Le persone che sono passate attraverso l’esperienza della lingua di propaganda, improvvisamente trovano molto difficile capirli, capire questa lingua “reale, vera”. Tutti i Poeti Oscuri condividono la repulsione per il partito, per il controllo governativo, tuttavia Yang Lian si distingue dagli altri per l’analisi dei legami tra storia, politica e cultura.<br />In questi anni Yang Lian scrive i poemi Taiyang meitian dou shi xin de [Il sole è nuovo ogni giorno, 1981]; Zi bai. Gei Yuanmingyuan feixu [Confessione. Alle rovine dello Yuanmingyuan, 1981]; Norlang (dal nome di una divinità tibetana, 1983; criticato dalle autorità culturali del governo, che ostacolarono la pubblicazione delle sue opere in Cina per più di un decennio); Xizang [Tibet, 1984] e Yi (dal 1985; il titolo è la trascrizione di un pittogramma inventato dallo stesso Yang Lian), oltre a vari volumi di prose poetiche, tra cui Haibian de haizi [Il bambino in riva al mare, 1982] e Shizhe [Colui che passa, 1985].<br />Sul finire degli anni Ottanta, Yang Lian comincia a viaggiare per il mondo, fissando un punto di ferma collaborazione con l’Università di Auckland in Nuova Zelanda. Yang Lian e l’amico Gu Cheng restano ad Auckland dove, in occasione dei fatti di Tian’an Men del 1989, organizzano una storica lettura di protesta presso la cappella Maclauren dell’Università. Le sue dichiarazioni contro questo massacro lo costringono ad un lungo esilio in varie città: Berlino (dove riceve una fellowship come artista residente da parte della DAAD), New York (presso la fondazione Yaddo), Sidney (dove insegna Lingua e Letteratura cinese all’Università) e, dal 1994, a Londra, dove tuttora risiede. </div><div align="justify">Oltre alle opere già citate, ha pubblicato diversi altri libri di prosa e di poesia, tra cui ricordiamo Mianju yu eyu [Maschere e coccodrilli, 1989]; Wurencheng [Impersonale, 1991]; Dahai tingzhi zhichu [Dove si ferma il mare, 1992]; Tongxinyuan [Cerchi concentrici, 1997]; Naxie yi [Tutti quegli uno, 1999]; Lihegu de shi [Poesie di Lea Valley, 2001].<br />Le sue opere sono state tradotte in 25 lingue. In Italia, i suoi versi sono stati pubblicati da Einaudi nell'antologia Nuovi poeti cinesi (Torino 1996; a cura di C. Pozzana e A. Russo) e nel 2004 è uscita la raccolta Dove si ferma il mare (Scheiwiller - Playon, Milano; a cura di C. Pozzana). </div><div align="justify">Com’è naturale i temi della poesia di Yang Lian ruotano attorno al suo lungo girovagare ed alla condizione umana che ne deriva: l’esilio provoca riflessioni, in particolare su di sé, sulla propria collocazione umana e geografica, sulla lingua.<br />Qui di seguito riporto l’intervista integrale a Yang Lian (una <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura%20&%20Spettacoli/150779__la_poesia_il_luogo_dove_si_conduce_la_resistenza_etica/">versione molto più breve </a>è uscita sul Giornale di Vicenza del 13 maggio 2010). Voglio ringraziare Marta Nori, insegnante di Lingua e Letteratura Cinese presso il Liceo Pigafetta di Vicenza per il suo fondamentale ruolo di interprete e per le numerose informazioni che mi ha fornito e che ho ampiamente riportato in questo cappello introduttivo.<br /><strong>È vero che uno degli eventi che l’ha spinta a scrivere poesie è stata la morte di sua madre?<br /></strong>Sì è vero. Mia madre è morta nel gennaio del 1976. Io ero già per il terzo anno nelle campagne cinesi per la rieducazione a cui erano sottoposti tutti gli intellettuali. Prima della sua morte avevo scritto qualcosa, ma era tutto un po’ romantico e semplice, non avevo mai capito che la poesia nasceva dalla parte più profonda di me. Dopo la sua morte, in me si è creata una sensazione di vuoto enorme, anche perché ero da solo e non c’era nessuno vicino con cui potermi sfogare. La poesia è diventata allora l’unico modo di esprimermi, non solo per me, ma in qualche modo anche per parlare a mia madre. Quest’ultima sensazione segretamente è sempre con me. Quindi mia madre è stata quella che ha fatto iniziare la mia carriera di poeta, però non ha mai letto niente di quello che ho scritto.<br /><strong>Lei è molti altri poeti cinesi siete stati accusati di praticare una poesia “menglong”, cioè una poesia oscura. Come mai vi venne data questa etichetta denigratoria?<br /></strong>Prima di tutto per me poesia oscura non è un nome corretto, ed è nato perché la gente voleva criticarci in quanto non riusciva a capire quello che volevamo dire, come se la poesia fosse avvolta nella nebbia. Però, dal mio punto di vista, la poesia oscura è stata il primo momento in cui abbiamo iniziato a ripulire la lingua dopo la rivoluzione culturale. Ci siamo sbarazzati di tutti quei paroloni come socialismo, comunismo, e siamo tornati un po’ alla volta alla lingua tradizionale, o alla tradizione della lingua. Abbiamo parlato di morte, di vita, di sole, di luna, di dolore, però tutto in un modo moderno, per esprimere i nostri sentimenti. Quindi in qualche modo siamo andati incontro alla lingua tradizionale per esprimere però una situazione attuale. Abbiamo espresso i nostri sentimenti nella nostra propria lingua, e con “propria” intendo la lingua individuale di ciascuno di noi, quindi molto diversa da quella lingua di propaganda che aveva caratterizzato la Cina.<br /><strong>Qual è il suo rapporto con la poesia cinese classica?</strong><br />Io scrivo in cinese. Si tratta di una lingua che è cambiata moltissimo e credo che non ci sia nessun cinese oggi che possa dire di essere una persona cinese classica. Amo la poesia classica cinese, ma non c’è modo di copiarla. Quello che posso fare è pormi delle domande e porre delle domande anche alla lingua, le più profonde possibili. Quindi, da un punto di vista filosofico, direi che la mia poesia serve ad esprimere la situazione dell’uomo. La poesia ha a che fare con la nostra vita. Anche se scrivo questa poesia, chiamiamola moderna, gli antichi poeti classici sono sempre dietro di me e mi guardano. Quando compongo una poesia, o quando penso alla musica dietro a questa poesia, devo anche chiedermi cosa penserebbero loro. Direi che la mia poesia è come una domanda moderna per rispondere alla quale devo raccogliere elementi da ogni direzione per essere creativo.<br /><strong>Il verso finale della poesia “1989” dedicata al massacro di Tian’an Men recita: “questo senza dubbio è un anno perfettamente ordinario” . È uno strano verso considerando la tragicità dell’evento…</strong><br />Quando accadde il massacro di piazza Tian’an Men tutti eravamo scioccati da quello che vedevamo succedere, eravamo disperati e increduli. Allora mi è sorta questa domanda: «Dov’è la nostra memoria per tutti i morti che ci sono stati prima di questo evento, tutti i morti per esempio della rivoluzione culturale?». Sembrava che fosse la prima volta che vedevamo dei morti. Se le nostre lacrime servono solo per lavarci la memoria, allora chi è che può garantire che non succeda un’altra Tian’an Men?<br /><strong>In <em>Omaggio alla poesia</em> lei scrive: "Sono un poeta / se voglio che la rosa sbocci sboccerà / la libertà tornerà". Da questi versi emerge una grande fiducia nella poesia…<br /></strong>Quando ho scritto questa poesia ero ancora molto giovane, quindi è un po’ romantica. Però a distanza di trent’anni trovo che la mia fede nella poesia sia diventata più profonda e più forte. Penso che questo mondo globale stia diventando una globalità di cinismo e di egoismo in cui domina l’unione del potere e dei soldi globali. Anche se la poesia non viene rifiutata da questo potere e da questi soldi, tuttavia è la poesia a rifiutare loro. La poesia è la libertà del pensiero e della parola. La poesia è il luogo in cui possiamo opporre la nostra resistenza etica. Proprio per il potere che ha la poesia, penso che alla fine riuscirà a collegare e a unire tutti quei pensatori liberi che ci sono in tutto il mondo.<br /><strong>Lei oggi vive a Londra. Ha mai pensato di scrivere in inglese?<br /></strong>Penso che la lingua abbia molto a che fare con le nostre origini. Io sono sempre stato definito un poeta in esilio. Però mi sono chiesto: «Chi è che non è in esilio quando sei una persona creativa?». Perché naturalmente c’è un significato politico, ma anche uno linguistico. Io come poeta voglio creare la mia propria lingua, quindi non c’è soltanto una lingua cinese, ma c’è un cinese di Yang Lian. Ho tre nomi con i quali chiamo me stesso. Come prima cosa mi definisco un poeta della Cina. Perché naturalmente dopo il periodo della rivoluzione culturale, la poesia parla delle difficoltà politiche di quel paese. Poi naturalmente ho lasciato la Cina e ho vagato per altre paesi ed è stato così che mi sono reso conto che sempre la poesia ha a che fare con le difficoltà della vita in generale.<br />Inoltre, poiché scrivo in cinese, mi definisco anche il poeta della lingua cinese, però la mia lingua cinese è diversa da quella di altri cinesi. Il mio cinese non è facile da tradurre nelle altre lingue e quindi mi definiscono il poeta che scrive in “Yanglish”, un misto di “Yang” ed “english”.<br />Quindi non soltanto il poeta appartiene alla sua lingua madre ma anche la lingua appartiene al poeta. È il nostro pensiero, la nostra scrittura creativa che costituiscono la vera radice della lingua. Ed è in questo senso soltanto che posso dire che la tradizione cinese è una tradizione che vive. Tutto il mio viaggiare e girovagare ha come unico significato vero quello di rendere più profonda la mia esperienza che mi serve per essere creativo. È difficile però a me piace.<br /><strong>In cinese non esistono i tempi verbali, il verbo non cambia mai. Lei ha sempre sfruttato questa caratteristica perché, in un certo senso, permette alla storia di essere sempre riscritta e di esistere anche al presente. Qual è per lei la distanza tra presente e passato visto che non è sempre così chiara da un punto di vista grammaticale?</strong><br />Effettivamente la lingua cinese è molto speciale. Si ha la sensazione che tenda sempre per prima cosa ad afferrare il concreto e poi un po’ alla volta torna indietro e fa scoprire l’intera situazione. Per esempio in cinese se diciamo bere il verbo non cambia mai, cent’anni fa bere, oggi bere, domani bere, quindi in questo verbo così fisso, stabile, è tutto compreso: presente, passato, futuro. Per me scrivere poesia in cinese è scrivere sulla situazione. Io la vedo come una situazione che non ha tempo e quindi per fortuna posso scrivere in una lingua che non ha tempo.<br /><strong>Quali sono i suoi rapporti con la Cina e con gli scrittori cinesi contemporanei?</strong><br />Sono tornato in Cina abbastanza spesso perché amo mio padre che ha ottantotto anni ed è anche un modo per tenere un rapporto molto stretto con il mio Paese. La Cina di per se stessa è come una poesia molto complessa. Tutti, compresi i cinesi, quando pensano alla Cina hanno immagini molto differenti e complesse nella loro mente. Sembra un paese comunista ma è anche il grande fratello della società internazionale capitalista. Non è più come ai tempi della guerra fredda con la lotta tra comunismo e capitalismo, ma è come un enorme corpo che contiene molti elementi contradditori. Continua quel processo di trasformazione tradizionale iniziato all’inizio del secolo scorso con l’inserimento di nuovi elementi, soprattutto economici. Come poeta posso dire che la Cina non è un problema solo dei cinesi. Con il suo grande potere economico ha costretto tutto il mondo a giocare stando alle sue regole. Tutti i politici occidentali quando vanno in Cina normalmente fanno due cose. Per prima cosa devono assolutamente parlare di diritti umani e democrazia. Ma appena finita questa incombenza, si siedono e parlano di contratti di lavoro. Per me scrivere una poesia e confrontarmi con questa situazione internazionale è molto importante. È doloroso per me vedere questo gioco un po’ cinico. È un po’ un incubo però può essere fonte di ispirazione. Credo che la Cina com’è adesso ponga delle domande in ogni parte del mondo: Che cos’è la politica oggi? Qual è il vero significato della letteratura oggi? Qual è il vero legame tra la vita e la letteratura, cos’è che rende la letteratura necessaria? Se riusciamo a rispondere a queste domande potremmo crescere e aiuteremmo anche la Cina a crescere.<br />Ho contatti molto stretti con i miei amici poeti che vivono in Cina e so che se sono dei bravi scrittori non fanno parte di associazioni. Sono nella stessa situazione in cui mi trovavo io quando ero esiliato solo che loro si sono autoesiliati stando in Cina. Però ci sono moltissimi giovani poeti, quindi i siti web in cui vengono pubblicate le loro poesie sono molto vivaci. Adesso internet e i siti web sono diventati come le pubblicazioni underground dei nostri anni Ottanta. Quindi è tutto molto vivace ma ancora pieno di domande.<br /><strong>Parlando della sua poesia in un questionario a cui ha risposto tra il 1992 e il 1993, lei l’ha divisa in due periodi: dalla poesia lunga a quella breve. Può spiegarci meglio questa evoluzione? Oggi come si è ulteriormente evoluta?</strong><br />Di solito non separo tanto la poesia breve dalla poesia lunga perché penso che la forma specifica della poesia debba essere necessaria rispetto a quello che devo dire.<br />Per me il 1989 è stato uno spartiacque, prima ho scritto due libri interi composti da una serie di poesie molto lunghe e dopo ho scritto invece poesie molto brevi. Prima del 1989 volevo scavare dentro tutti i vari strati della cultura tradizionale cinese, la sua lingua, la sua classicità, la sua musicalità e anche la sua attualità, il suo modernismo, per questo i poemi di allora sono molto lunghi. Per esempio l’opera che si intitola Yi è basata su uno dei testi classici della letteratura cinese però in un modo molto moderno e contemporaneo. Come per portare i 5000 anni di storia tradizionale cinese all’interno di una poesia moderna e in una struttura contemporanea. Dopo il 1989 mi sono trovato in esilio, in particolare in paesi occidentali e io non parlavo inglese quindi il problema è stato raccontare cosa mi era successo. Per questo i poemi che seguono il 1989 sono così taglienti, precisi, netti, perché dovevo in qualche modo tagliare quelle emozioni e quei sentimenti. Nell’opera Dove si ferma il mare, fatta di molte sequenze di poesie mi sono trovato per la prima volta, dopo aver lasciato la Cina, ad utilizzare nuovamente una forma molto ampia di poesia. Per tornare a quello che dicevo, tra forma e poesia ci deve essere una necessità, cioè posso scrivere cose molto sperimentali, posso tornare alla tradizione, alla classicità ma ci deve essere un incontro tra la mia mente e la mia anima.<br /><strong>Lei ha affermato che “ogni carattere cinese è una trappola in cui una dopo l’altra cadono intere generazioni”. Che cosa intendeva dire?<br /></strong>La lingua cinese è molto flessibile, ti permette anche di giocare molto, però è anche molto insidiosa. Ad esempio Ezra Pound ha creato il filone dell’imagismo, quasi un gioco che si poteva fare con la lingua cinese e con i suoi caratteri. È diventato quasi un marchio della lingua cinese. Però se guardo a questi giochi, a questi esperimenti, li trovo molto belli in apparenza, molto stimolanti, ma appena vado in profondità mi chiedo: «qual è il motivo, qual è la necessità per cui devo fare questi giochi?». Anche l’imagismo è diventato un gioco vuoto. È un gioco che può essere facile, perché si gioca con l’immagine, con la superficialità, la cosa difficile è scendere nella profondità della poesia.<br /><strong>Lei ha detto: “La poesia mi costringe ad accettare la realtà”. Quale tipo di realtà?</strong><br />La realtà si compone di molte contraddizioni e, anche per quanto mi riguarda, ci sono molte di queste contraddizioni con le quali io devo un po’ alla volta venire a patti. Quindi è una questione di accettare sì la realtà esterna, ma anche me stesso. Per esempio, dopo la rivoluzione culturale, dopo il massacro di Tian’an Men, la gente si chiede sempre chi ha causato questo disastro. Però se guardo dentro di me devo riconoscere che anche una parte di me forse ha contribuito a creare questo disastro, questo problema. Perché adesso chi si ricorda più della rivoluzione culturale? Anche Tian’an Men quasi è dimenticata, adesso siamo tutti presi da questa ricchezza ed opulenza e dunque, in qualche modo, siamo anche noi responsabili di avere dimenticato i morti. Adesso la Cina non solo è esplosa dal punto di vista economico, ma addirittura produce benessere per l’occidente. Quando vedo i politici cinesi che fanno affari con gli industriali occidentali e firmano contratti e scambiano soldi e producono altri soldi, eccetera, forse anche loro sono responsabili di quelle morti. Forse l’unica verità è l’impossibilità di basare tutto sull’egoismo e il cinismo internazionale. Ho questa frase che mi è venuta proprio qui in Italia: «Iniziare dall’impossibile». Penso che la poesia mi abbia insegnato a come guardare dentro di me ma anche dove iniziare, quando iniziare per uscire e per rompere qualcosa.<br /><strong>In Cina i suoi libri circolano tranquillamente o c’è qualche forma di censura nei suoi confronti?<br /></strong>Sono stato ripubblicato in Cina dopo il massacro di Tian’an Men e nuovamente nel 1999, cioè a dieci anni di distanza. I miei libri sono stati ristampati e hanno venduto anche piuttosto bene. Io lavoro sempre almeno su due livelli, quello poetico e quello politico. Due anni fa sono stato eletto come membro di un gruppo di poeti internazionali e dopo allora il mio sito web è stato bloccato dal governo. La situazione è complessa perché io posso andare di nuovo in Cina, però quando lo faccio vengo guardato molto, molto da vicino. È una situazione abbastanza tipica nella Cina di oggi, in particolare gli scrittori indipendenti sono guardati in modo molto stretto. Naturalmente non riescono a controllare tutto quello che c’è su internet, però appena qualche intellettuale indipendente mette piede in Cina, viene controllato di persona. </div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-23299222.post-73950808438140676582010-05-19T21:53:00.009+02:002010-07-03T15:45:21.378+02:00Intervista a Edoardo Sanguineti (28 aprile 2010)<div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoD9yVQpgTeso6zo8GDweG9vprbmrgr5ASFR5LYYQhyphenhypheneVErNL_0uo2WNiGdSx0B6W5IkFxbFaRd9Wa61Z0mwjBJqLMr_2dSaHk_CqB6-d7cl4s973WgOMcN-OiChT-_EzgVKhyphenhyphenjA/s1600/DSCN3932.JPG"><img style="MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; FLOAT: left; HEIGHT: 239px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5473073186497232962" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoD9yVQpgTeso6zo8GDweG9vprbmrgr5ASFR5LYYQhyphenhypheneVErNL_0uo2WNiGdSx0B6W5IkFxbFaRd9Wa61Z0mwjBJqLMr_2dSaHk_CqB6-d7cl4s973WgOMcN-OiChT-_EzgVKhyphenhyphenjA/s320/DSCN3932.JPG" /></a><br />Di Fabio Giaretta<br /><br />Io Edoardo Sanguineti me l’ero sempre immaginato come un rivoluzionario iconoclasta, burbero e imbronciato, animato da un furore avanguardistico pronto a travolgere tutto e tutti. Invece, la persona che ho intervistato per il Giornale di Vicenza il 28 aprile dopo l’incontro di Dire poesia 2010 (rassegna poetica tenutasi a Vicenza tra marzo e maggio che vanterà sempre, tra i suoi numerosi meriti, quello di avere offerto a Vicenza la possibilità di incontrate il poeta genovese in quella che, molto probabilmente, è stata una delle sue ultime apparizioni pubbliche) si è rivelata totalmente diversa dalle mie infondate fantasticherie. Mi hanno enormemente spiazzato e colpito, oltre alla sua acutezza, alla sua guizzante vivacità intellettuale, alla sottile ironia, la sua squisita gentilezza, l’affabilità, la generosa disponibilità, la mancanza di qualsiasi snobistico distacco. La nostra intervista doveva durare un quarto d’ora. Inutile dire che durò molto di più. Sanguineti era un conversatore straordinario. Come ha scritto Antonio Gnoli, sapeva «essere intrigante, leggero, curioso, paradossale, come un frutto tardivo del pensiero libertino». Da quel mondo aveva ereditato «la nettezza di giudizio, la capacità provocatoria e quel gusto per l’oralità che si lascia facilmente avvolgere dall’immoralità». Sanguineti infatti non amava «le convenzioni , la prevedibilità, l’eccesso d’ordine, i discorsi edificanti». Quando fui costretto a spegnere il registratore perché lo reclamavano per la cena, avevo ancora mille domande in mente che avrei voluto rivolgergli. Avevo intenzione di ampliare telefonicamente questa nostra intervista, ma ora purtroppo non sarà più possibile. Rimane il privilegio di averlo potuto incontrare. (Voglio qui ringraziare anche Stefano Strazzabosco, lodevole curatore della rassegna, per aver permesso questo incontro). Di seguito riporto l’intervista integrale, <a href="http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Interviste/148459_il_mio_sonetto_per_vicenza/">uscita in forma un po’ ridotta </a>nel Giornale di Vicenza del 4 maggio 2010.<br /><strong>Quale importanza hanno avuto secondo lei la Neoavanguardia e il Gruppo 63?<br /></strong>Credo sia stato un fenomeno importante non tanto in quanto gruppo di per sé ma soprattutto perché sciolse una specie di tabù. La cosa si può anticipare perché nel ’61 esce l’antologia dei Novissimi curata da Giuliani. Quella fu una rottura nella poesia italiana molto forte. Quasi tutti eravamo poeti, in tutto cinque, che avevano già pubblicato, però la raccolta dei nostri testi insieme diventò una sorta di manifesto e produsse un effetto molto forte. Cominciava un’epoca molto diversa. Come disse Arbasino, era ammesso che l’ansia di nuovo si manifestasse in America, in Europa, ad esempio con la nouvelle vague, le nouveau roman e via discorrendo ma non in Italia. Anche chi leggeva libri e aveva una qualche conoscenza di Kafka, Joyce, Proust eccetera, in fondo era poco influenzato. Noi allora rompemmo un tabù. Il gruppo ebbe il merito di incitare ad una nuova figura di intellettuale che non era più il puro letterato della tradizione ermetica e neppure neorelista, che in poesia aveva dato peraltro risultati molto modesti. La rottura del tabù fece sì che di colpo si pensò un intellettuale che fosse al corrente con la linguistica, lo strutturalismo, la psicanalisi, la sociologia e via dicendo e non quel letterato puro della tradizione ermetica. Questa fu l’influenza più forte, influenza che si spense con il ’68. La politica disfa il gruppo: c’è chi non ha nessun interesse politico e c’è chi milita per questo o quel partito, non necessariamente lo stesso.<br /><strong>Quale eredità è rimasta oggi di quell’esperienza?</strong><br />È rimasta senza più confessarla. Quella che era la forza di contestazione, il voler essere diversi dalla vecchia figura di intellettuale non c’è più. I poeti vanno al Costanzo show, spesso magari anche in trasmissioni serie, come quella di Fazio. Se uno fa un nuovo disco, un nuovo libro, va lì, perché è lanciato, per una settimana ottiene attenzione e successo, entra magari in testa alle classifiche, poi però, dopo poco, si spengono gli entusiasmi. Il peso però che ebbe quell’esperienza fu all’inizio molto forte, tutti cambiarono il modo di scrivere, da Pasolini a Luzi a Moravia a Zanzotto. Smisero quel loro atteggiamento che era molto ermetico, neoermetico, postermetico e capirono che facevamo parte dell’Europa e del mondo. Si svecchia insomma la poesia italiana.<br /><strong>Nelle sue poesie si nota una grandissima attenzione per la corporalità e per la fisiologia. Per quale ragione?<br /></strong>Ci sono molte ragioni. Prima di tutto io sono un materialista, proprio nel senso del materialismo storico. L’anima per me coincide con il mondo psichico, che certamente ha una sua esistenza se interpretato soprattutto in termini psicanalitici. Io poi con gli anni sono diventato sempre più groddeckiano. Groddeck era una specie di strano personaggio che diceva alcune cose assai poco attendibili ma ebbe anche intuizioni straordinarie. Freud lo ammirò molto, anche se lo addomesticò, nel complesso aveva idee diverse, però il concetto di Es inteso come inconscio profondo, lo riprese da lui. Noi siamo corpi. Questa è la mia idea fondamentale. Raccontare una storia di un individuo è prima di tutto la storia di un corpo. Noi nasciamo animali, poi cerchiamo di addomesticarci socialmente, tuttavia passare dalla natura alla storia è una cosa difficilissima. Passare dalla bestialità originaria a un tentativo di addomesticamento, di cultura, di storicità, è una fatica terribile sia per chi deve compierla sia per chi deve porla in atto; per un bambino diventare conscio e adulto è faticosissimo ed è faticosissimo anche per chi se ne prende cura. Addomesticare un bambino è una cosa durissima. Poi ci sono certamente ragioni anche più soggettive, cioè un forte interesse per la tematica del corpo, da un lato come corpo del piacere, come luogo di estasi, che comporta tutta la sfera dell’erotico e del desiderio, e dall’altro lato come luogo di sofferenza, di patimento e infine di dissolvimento e di morte.<br /><strong>La sua ricerca si basa sull’arte di saper bene come scrivere male. Che cosa voleva dire con questo paradosso?<br /></strong>Era un paradosso perché voleva rifiutare lo stile. C’è un mio verso che dice: oggi il mio stile è non avere stile. Da un lato vuol dire che non voglio chiudermi in una maniera di scrittura, in uno stile. Quindi in ogni libro che faccio, anche nelle traduzioni, nei saggi, cerco di affrontare problemi nuovi. Dall’altro lato non avere stile nel senso corrente della parola. Essere un uomo che ha uno stile vuol dire avere garbo e basta. Rifiutare uno stile, in questo senso, significa rinunciare a quella sorta di educazione cortese che spesso nasconde un’insincerità, una falsa gentilezza. Questa idea nacque in Olanda. Ero in Olanda con un poeta tedesco. Parlavamo dell’arte di scrivere male partendo dal problema del tradurre. Sapere bene come scrivere male, che agli occhi della gente può apparire come una mancanza di stile, di eleganza, è un modo di cercare di dire la verità.<br />I<strong> suoi versi nel corso degli anni si sono aperti sempre più alla quotidianità. In una sua poesia-ricetta si legge: Per preparare una poesia, si prende un piccolo fatto vero (possibilmente fresco di giornata)… Come mai è nato in lei questo bisogno?<br /></strong>La poesia che lei cita è molto ironica, si presenta come una ricetta di cucina. Ho cercato di affrontare la quotidianità. Questa poetica del piccolo fatto vero è diventata dominante in una lunga fase della mia scrittura anche se come al solito cercavo di non chiudermi in uno stile. Però questa riconoscibilità del fatto vero, dove sono indicati i luoghi, le persone sono riconoscibili, c’è il numero della camera d’albergo, questo eccesso di precisione mi tentava molto. Mi tentava molto passare da una poesia relativamente più astratta, usiamo questo termine, ad una poesia iperconcreta. Un’evidenza dell’esistenziale o come si diceva una volta con un termine caduto di moda, l’evidenza dell’esistentivo.<br /><strong>Qual è il suo giudizio sulla poesia contemporanea?</strong><br />Come accennavo prima, con la fine degli anni Settanta, e non solo in Italia, la poesia diventa una questione di successo. Si vuole vendere. Il tentativo di mercificarsi era esattamente l’opposto di quello che le avanguardie storiche avevano praticato. Esse sostenevano l’idea della non merce e quindi erano contro la museificazione. Noi avevamo cercato di riprendere come punto di forza del gruppo questa idea. Molto è rimasto di questo effetto di rottura però indebolendosi completamente. Sono ancora largamente utilizzati elementi cominciati solo nel gruppo, come ad esempio certi modi di linguaggio, però tutta la forza contestativa si è spenta. Si vuole successo.<br /><strong>Nel nostro mondo mercificato, cosa dovrebbe fare la poesia?</strong><br />Io credo che il problema sia, e in questo sono un materialista storico, riuscire ad essere realisti. Ovviamente lei mi dirà, e chiunque altro mi direbbe, cosa vuol dire essere realisti? È questo il problema. Evidentemente ciascuno di noi ha un’opinione della realtà e di che cosa la rappresenti autenticamente. Gramsci diceva una cosa molto importante: nella cultura non è importante avere nuove idee, chiunque è capace di sognare mondi belli, rosei e del resto temi di questo genere erano già presenti in Marx e in Engels. Bisogna invece cercare di indicare le linee di sviluppo, che sono continue, il mondo infatti muta continuamente. Allora se io ascolto le notizie, leggo i giornali, mi informo, eccetera, devo continuamente aggiornare il mio modo di percepire la realtà. Questo è il problema. Da questo punto di vista, è poco importante la posizione politica finale che può assumere un autore. Quello che è importante è che da un lato via sia una pulsione anarchica originaria di rivolta e di protesta, e dall’altro lato la capacità di dire: questa è la realtà. Questo oggi interessa assai poco. I poeti dicono: non siamo impegnati, destra e sinistra non significano più nulla.<br /><strong>Le sue poesie hanno sempre un carattere fortemente giocoso. Questo appare evidente anche nel sonetto inedito che lei ha scritto per Vicenza…</strong><br />La poesia ha ripreso sempre di più delle forme di gioco verbale, ma non gratuito, vicino alla ricerca della contrainte, della costrizione. Scrivere un sonetto vuol dire accettare certe regole. Se la regola viene accettata esasperando le astuzie di complicazione e di autocostringimento, vuol dire che non si sta cercando tanto il puro gioco ma di sperimentare nuove forme di linguaggio. Il sonetto che ho scritto per Vicenza è forse allo stato attuale il sonetto più acrobatico che ho fatto per le complicazioni con cui è costruito, le allusioni che vi sono presenti. Quindi c’è un aspetto di gioco. C’è una frase famosa di Hölderlin, che piaceva molto a Heidegger, che dice: la poesia è il gioco più serio che ci sia. Credo che questo elemento apparentemente di gioco, di divertimento, può diventare uno strumento molto serio. Modificare una parola, un verso, complicarlo, non è un gioco arbitrario, ma molto serio perché attira l’attenzione sul linguaggio e sulle parole. Bisogna stare attenti alle parole che si usano. Bisogna portare l’attenzione sul peso che ha il linguaggio. Dimmi come parli e ti dirò chi sei.<br /><strong>Lei si è definito un ottimista catastrofico. Cosa intende dire esattamente con questa definizione?<br /></strong>L’ottimismo catastrofico nasce da questo: io penso che siamo alle soglie di una catastrofe economica e sociale senza confine. Questa è sempre più vicina. Oggi è successo alla Grecia, al Portogallo, domani capiterà anche da noi. Sta capitando dappertutto, gli Stati Uniti sono già completamente investiti, Obama non mi piace assolutamente. Gli unici che svolgono una politica, può piacere o meno, molto astuta, sono i cinesi e gli indiani. Ottimismo invece è legato a quello che diceva Gramsci: l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Proprio perché sono un pessimista catastrofico e considero che la catastrofe sia già avvenuta, semplicemente si tratta solo di prenderne coscienza, bisogna cercare di moltiplicare l’ottimismo della volontà. Il tempo è pochissimo. È necessario che rinasca una coscienza di classe della massa enorme di proletari e sottoproletari di fronte alle élite di potere che è dei Putin, degli Obama, dei Berlusconi. Bisogna riprendere una coscienza critica di classe. Adoro quello che diceva Benjamin: Quello che ha rovinato il mondo è l’idea socialdemocratica riformistica per cui bisogna pensare alla felicità dei figli. Lui diceva invece che il problema è vendicare le sofferenze dei padri. La poesia può servire a far prendere coscienza di come stanno le cose.<br /><strong>Sanguineti quindi è ancora un poeta rivoluzionario…<br /></strong>Sì, sì è una parola che mi piace molto. Non di riforme abbiamo bisogno ma di rivoluzione nel senso marxiano della parola.<br /></div><div align="justify">.......................................................................................................................................</div><div align="justify"></div><div align="justify">Ecco il sonetto che Edoardo Sanguineti ha dedicato a Vicenza: Come si può notare le iniziali di ogni verso formano Vicenza (primi sette versi) e Azneciv (ultimi sette versi). Inoltre ogni parola di ogni verso inizia con la stessa lettera della parola iniziale. E' un sonetto un po' particolare visto che le due terzine anzichè essere alla fine sono al centro, incorniciate dalle due quartine. </div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong><em>Sonetto vicentino</em></strong><br /><br />Vasti versi virili, vitalmente,<br />In invidiate, in innocenti imprese,<br />Cozzano con colonne, caldamente<br />Ezzeliniane, evidenziate, estese:<br /><br />Nei nodi nuovi, nei nobili nani<br />Zoppicanti, zaffate zolforose<br />Apprendono amaretti astati, arcani:<br /><br />Asparagi ad Andrea, acque amorose,<br />Zeno, zone zittite, zafferani,<br />Novellatrici newage, ninnolose:<br /><br />Ecco eunomíe, endemonicamente<br />Cangrandesche, criptoportici, chiese<br />Incantate, ieromanticamente:<br />Vedo vicus, virtù vespaiolese:</div>Fabio Giarettahttp://www.blogger.com/profile/08069427752394920148noreply@blogger.com1